Pubblicità

“U pisci friscu da Licata”, un recente libro pubblicato dell’autore Vincenzo Scuderi, o meglio, “Il Pesce fresco di Licata – Farsa tipica siciliana.
Trattasi di una divertente storia di tradimenti e “forse” d’amore, tutta siciliana, naturalmente condita con una messa in scena beffarda, ironica che si svolge nell’allora mercato del pesce.
Inizialmente si contrappongono due cosiddette “comari” che si vogliono talmente bene e sono così legate da quell’amicizia, nata, vissuta e “pasciuta” in quel cortile, da riuscire a spettegolarsi con sottile, umoristica, indelicata arte ironica, quella burlesca della farsa isolana che colpisce e vuol colpire tutti e nello stesso tempo mai nessuno.
Come voler avvertire: “iu nenti dissi, fusti tu a mala pinsanti”.
Insomma, proprio una sceneggiata plateale tra due coppie di esibizionisti che fa uso, logicamente, dei tanto adoperati e fondamentali “doppi sensi”.
Poi, gli imprescindibili, amati sottintesi grotteschi, immancabili nei litigi di cortile.
A ciò si aggiunge un metodo comunicativo siciliano mimico, gestuale, espressivo, unico al mondo che le donne isolane utilizzano pur senza mai offendersi direttamente, perché così vuole, impone, l’intrigo grottesco quando intende colpire l’avversaria che ha osato rubare il marito.
Certo che deve essere un linguaggio volutamente sibillino, vago, altrimenti che bello c’è!
Ne vale l’intelligenza, la sagacia, la furbizia dell’una o dell’altra comare che si ritiene superiore in scaltrezza in tutto e per tutto.
Naturalmente l’uso della terminologia dialettale colorita e colorata, superati certi limiti di decenza, spesso trascende, diventa pericoloso e offensivo al massimo grado di sottigliezza, un linguaggio che potrà “apparire”, anzi lo è, scurrile, proprio perché si vuole, si deve, colpire nel punto debole l’avversaria che ha avuto “la facchineria” d’aver rubato appunto il marito regolarmente, traditore, chiaramente e pubblicamente definito “quel cornuto”.
Si sa, basta mezza parola siciliana che da sola riesce a esprimere tutte le cattiverie e le vergogne di questo mondo, un semplice ammiccamento, un silenzio artificioso, una pausa calcolata, voluta; un’occhiata ad arte per intendersi e sottintendere la qualsiasi mala azione. E poi…
In caso di pericolo pubblico? Beh, si può sempre rimediare giacché il tutto si riduce e si traduce proprio in un “niente detto”, anzi… in un “niente di niente”.
Che il mondo sappia una volta per tutte che, talune donne sicule, non malignano mai.
Di fatti sono sempre pronte a giurare e spergiurare sulla “Beddamatri”, che dalla loro lingua mai è uscita una diffamazione, giacché quel che è riferito, è semplicemente perché “così si mormora e si dice”. Non ci credete?