Francesco Bellanti è un singolare e talentuoso scrittore, poeta e saggista siciliano, professore in pensione, che scrive su riviste culturali – tra queste, la rivista parigina per gli italiani in Francia La Voce – e collabora con giornali e portali online, tra i quali Informazione Cattolica e La fede quotidiana. L’ex professore di Lettere del Liceo Scientifico G.B. Odierna di Palma di Montechiaro e dell’ITC di Licata, autore di una dozzina di libri, alla sua quinta pubblicazione negli ultimi quattro anni dopo Dialogo con il Führer – Giorni d’estate a Berchtesgaden nel 2019, Il Cardinale e il labirinto di Dedalo nel 2020, Isabella Tomasi di Lampedusa – La più grande dei Gattopardi nel 2021, Storia scellerata (di don Lollò il Crasto, che fece il vastaso per diventare l’ultimo Gattopardo, attore, nobile, mafioso e deputato), opere che hanno riscosso ampi consensi di pubblico e di critica, pubblica adesso quest’opera, ancora per i tipi dell’editore Carello, che – come le altre – ha un originale impianto narrativo e tratti visionari, fantastici, dove è pure palpabile una profonda formazione umanistica dell’autore, molto attenta alla storia e alla cultura popolare, che dunque può essere collocata nel contesto del realismo magico. Lo abbiamo intervistato.
Con Il quadro di Stalin, professore, si prosegue sulla linea dell’italo-siculo di Storia scellerata, che era già un romanzo che si presentava un po’ diverso dagli altri suoi libri, soprattutto per l’impianto linguistico. C’era un’esplosione di dialetti, ma anche di influenze linguistiche colte, latino, italiano, spagnolo, tedesco, inglese. Qui invece si rimane nell’ambito del dialetto parlato dai personaggi e dell’italiano del narratore.
Il romanzo andava scritto così. Siamo nel 1980, non c’è ancora l’invasione degli immigrati musulmani, romeni, albanesi, etcetera. E il punto di vista del narratore doveva essere meno alto sul piano linguistico, perché qui non si parla di rappresentazioni teatrali, di Mortorio, di personaggi folli, bizzarri, di teologi, predicatori, e così via. C’è sempre, però, lo sguardo su una Sicilia ricca di storia, cultura, arte, tradizioni religiose. Anche in questo libro, come negli altri miei romanzi, tutto trasuda di Sicilia, questa terra meravigliosa metafora del mondo, culla di grandi civiltà, incrocio di popoli e di culture, terra che unisce e non divide, anello di congiunzione tra l’Oriente e l’Occidente, amata da poeti e scrittori, meta di pellegrinaggio e di viaggi di mille genti diverse. E anche in questo libro, si può trovare quello che ho descritto nel precedente Storia scellerata, un caleidoscopio straordinario di personaggi tragicomici, bizzarri, stravaganti, eccentrici, paradossali ma veri, uomini, non solo maschere di un tourbillon di storie, dialoghi, incroci culturali e linguistici originali, il tutto però contestualizzato al 1980, tempo di passaggio da una Sicilia diciamo arcaica a una moderna, di grande cambiamento sociale, politico. Forse solo chi ha vissuto quel tempo come me può credere a questi personaggi, perché oggi non se ne vedono più. La Sicilia è sempre stata una terra universale, multietnica, multirazziale, internazionale, interculturale, allucinante ed effervescente, aberrante e pazzesca, metafisica ma vera, luogo fatale d’incontri, d’incroci, di razze, genti, popoli, culture e lingue. Il paese immaginario di Almeda è il più reale possibile, e rappresenta tutto questo. Ne Il quadro di Stalin si comincia si comincia a intravedere il nascere e soprattutto il rafforzarsi di questo mondo. La scelta linguistica anche qui è aderente a questa realtà, ai personaggi che abitavano quel mondo.
Il mondo che lei vuole rappresentare, e analizzare, in questo romanzo, ma anche in tanti altri suoi libri, se pensiamo a Dialogo con il Führer – Giorni d’estate a Berchtesgaden a Il Cardinale e il labirinto di Dedalo, in Storia scellerata, e in fondo anche a Isabella Tomasi di Lampedusa – La più grande dei Gattopardi sembra essere quello della follia. Anche in questo romanzo i personaggi sembrano agire tutti in preda alla follia. La sparizione di un quadro, anzi dei due quadri di Stalin e Hitler, è qualcosa che ha a che fare con un grande scrittore suo conterraneo, Pirandello? O ci sono anche altre motivazioni?
Sì, mi ha sempre affascinato questo tema, tanto che ho scritto un libro proprio sulla follia, Casto, incontaminato amore, ancora inedito. Poi, ho frequentato per tutta la vita, anche per la mia professione di docente liceale di lettere, autori come Pirandello, Svevo, Freud, Hölderlin, Ariosto, Tasso, Rilke, Kafka, Campana, Bruno, Nietzsche, Erasmo da Rotterdam, Blake, e tanti altri. Credo che la follia sia una chiave di lettura decisiva per comprendere e decifrare il mondo. La follia è presente nella storia e nel tempo molto più di quanto si creda, più ancora della stessa ragione. Pirandello è lo scrittore che meglio ha percorso il labirinto della follia. Il suo viaggio è il viaggio periglioso nella pupazzata della vita, nel mondo delle maschere e delle forme, nell’illusione delle pure apparenze, nelle trappole della società, il viaggio nell’estraniamento, il viaggio nella grandezza del caos. La follia è l’impossibilità della comunicazione, l’alienazione dell’uomo moderno all’interno della famiglia e della società, è la fuga nella follia, nel panismo, nell’annullamento di sé come persona. Anche in questo romanzo la follia pervade tutta la realtà, nel senso di odi e rancori politici paesani, comportamenti contro misura, irrazionali, e anche comportamenti d’amore oggi impossibili.
Lei è uno scrittore versatile, per temi e generi narrativi affrontati. La sua scrittura allora proprio per questo motivo utilizza diversi registri linguistici. Anche in questo libro. Andrà sempre più allontanandosi dall’italiano alto, forbito, dei primi libri?
La varietà dei registri linguistici nei miei libri è una conseguenza della varietà degli argomenti, ma, per la verità, mentre solo in Storia scellerata ho rivoluzionato radicalmente il linguaggio, in ragione dei protagonisti, dei temi e dell’originalità della narrazione, qui ho usato solo due lingue, il siciliano – comunque comprensibile – e l’italiano, magari un po’ storpiato, come ancora viene fatto nelle classi popolari. Io prediligo l’italiano colto, letterario, una lingua bella, plastica, duttile, varia, sonora, una sorta di prosa poetica, che ha una tradizione di eccezionale spessore culturale. Così è stato nel libro su Hitler, per esempio. Non amo il dialetto come lingua scritta, e soprattutto il siciliano, troppo denso di suoni cupi. Ma questo romanzo doveva essere scritto come ho detto prima. Ed è stato un lavoro non sempre facile, perché il dialetto tout court come lingua scritta non mi piace, anche perché io penso e ragiono, sogno, esclusivamente in italiano.
Nel mondo convulso di questo romanzo, in questa singolare ma verosimile vicenda che si svolge in Sicilia, questa terra così ricca di storia, cultura, arte, tradizioni religiose; in questa terra meravigliosa, come dice lei, metafora del mondo, culla di grandi civiltà, incrocio di popoli e di culture, terra che unisce e non divide, anello di congiunzione tra l’Oriente e l’Occidente, amata da poeti e scrittori, al di là della politica narrata in questo romanzo, è possibile trovare un’identità della Sicilia, alla quale lei ha dedicato anche saggi e studi?
Sì. È proprio questa l’identità, una Sicilia plurale, secondo la famosa definizione di Bufalino. La terra d’elezione di Federico II è, così la definiva Gesualdo Bufalino, un’isola “plurale”, cioè con tante anime, e questo del realismo magico, molto simile al mondo rappresentato Gabriel García Márquez in tanti suoi libri che mi hanno sempre affascinato, è uno degli aspetti più importanti anche di questo romanzo. L’identità siciliana non è solo la visione di una Sicilia pigra e indolente, verghiana, conservatrice, gattopardesca, intimistica e decadente, sprofondata nel millenario silenzio, o quella di una società corrotta e mafiosa, omertosa, di parte dell’opera di Sciascia. C’è anche quella poliziesco-metafisica di Camilleri, la Sicilia mitica di Bonaviri, la Sicilia sensuale e lussuriosa di Brancati, la Sicilia del viaggio e del ritorno in un tempo arcaico di Vittorini; sì, una Sicilia mitica, fiabesca e simbolica, il viaggio della presa di coscienza. C’è anche la proiettata in un tempo arcano di Pirandello. Ebbene, anche per scrivere questo romanzo mi sono ispirato a questa Sicilia. Storia scellerata e Il Cardinale e il labirinto di Dedalo, Il quadro di Stalin, sono i miei romanzi in cui questa identità siciliana emerge meglio. Il lettore è immerso in un tempo visionario e fantastico sospeso tra realtà, leggenda, folklore, magia, superstizione, storia, tradizioni e cultura popolare, quello che potremmo definire – seguendo schemi màrqueziani – il realismo magico siciliano.