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Il concetto di fine di un videogioco, al giorno d’oggi, sembra quasi anacronistico. In tempi di multiplayer e di game as a service, in effetti, pensare a un videogioco con un inizio e una fine richiama titoli oggi meno dominanti rispetto al passato. Perché si possa parlare di fine di un videogame, in effetti, è necessario che ci sia qualcosa che finisce: ovviamente una trama. E quando la trama finisce, come convincere il giocatore a rimanere ancora in gioco? Battuto l’ultimo boss, superato l’ultimo ostacolo, conclusa l’ultima missione e finito lo scorrimento dei titoli di coda, da sempre l’utente si trova di fronte a un bivio: continuare a controllare i personaggi che ha imparato a conoscere oppure salutarli e passare a una nuova avventura. Sorge quindi il problema dell’endgame: ossia, come convincere il giocatore a rimanere nel mondo di gioco una volta finita la storyline principale. Si può pensare a vari strumenti, anche se non tutti coronati dallo stesso successo.

Quello dell’endgame è un problema con il quale si trovano principalmente a confrontarsi i titoli di genere open world. Questo perché larga parte dell’esperienza è legata all’esplorazione della mappa di gioco, che potrebbe ancora non essere completa una volta terminata la storia. Alcuni titoli quindi scelgono di riempire i loro mondi di luoghi segreti, piccoli dungeon e punti dove nascondere elementi legati alla lore del gioco. Basti pensare a titoli come The Witcher 3, o il più recente Elden Ring: due videogiochi molto diversi, a partire dall’interpretazione del genere RPG, ma accomunati da un’attenzione speciale nei confronti del mondo di gioco, letteralmente costellato di punti d’interesse che invogliano l’esplorazione e, di conseguenza, offrono all’utente attività significative anche molto tempo dopo la conclusione dell’avventura.

Quello delle attività significative, o missioni secondarie, è un altro modo per fornire all’utente contenuti indipendenti dalla trama, e spesso a questa successivi. Red Dead Redemption 2, per esempio, fornisce non solo una porzione di mappa che si può esplorare solo dopo la conclusione della trama, ma la affianca ad attività secondarie che, in precedenza, tendevano a essere oscurate dalla stessa. È per esempio possibile affiancarsi alle forze dell’ordine e mettersi a caccia di ricercati, avviando la rispettiva missione da un avviso di taglia. È anche possibile, sebbene in maniera decisamente più semplificata, intrattenersi esattamente come su uno dei siti che offrono poker online: in ogni momento è possibile accedere a un tavolo sul quale confrontarsi con personaggi non giocanti a suon di tris, scale e così via.

Quello dell’endgame, naturalmente, non è un problema esclusivo dei titoli open world: un ottimo esempio viene da God of War, con il protagonista di una saga storica che si scontra con le divinità del pantheon norreno, in attesa del sequel distribuito proprio in questi giorni. Il mondo di gioco è quello tipico di un’avventura dinamica, con percorsi spesso obbligati e aree accessibili solo al conseguimento di determinati potenziamenti. È stata riportata la tradizionale distinzione della mitologia norrena di nove mondi, ma solo alcuni sono stati resi accessibili; fra questi, alcuni sono visitati nel corso della trama, mentre altri sono totalmente opzionali. Le attività proposte da questi ultimi, in effetti, si configurano esattamente come un vero e proprio endgame: dal regno della nebbia, con un labirinto generato proceduralmente dal quale bisogna uscire con le preziose risorse che contiene, al regno del fuoco, che ospita una serie di challenge di difficoltà crescente come la classica modalità orda. Un modo sicuramente brillante per invogliare il giocatore a rimanere a bordo anche dopo che la storia è finita.

Un altro modo per rendere significativo l’endgame è invece reso possibile dalla rete e da un parziale approccio al live service. La scelta fatta da Far Cry 6, tra altri possibili esempi, è stata quella di resettare settimanalmente alcune porzioni della mappa una volta conclusa la trama: attraverso un espediente narrativo, quello di insurrezioni locali, il giocatore è incaricato di riconquistare porzioni di territorio che aveva già sotto controllo durante lo svolgimento della trama. Si tratta di un espediente sicuramente valido, per quanto in questo caso in grado di mitigare solo parzialmente un gameplay tendenzialmente ripetitivo.

Anche in un periodo nel quale i titoli narrativi non sono più così dominanti come in passato, quindi, questi continuano a competere con titoli multiplayer: non solo grazie al livello della narrazione, ma anche grazie a come, una volta terminata quest’ultima, riescano comunque a proporre attività significative.