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Dal 27 al 29 aprile del 1960 si svolge a Palma di Montechiaro un convegno sulle condizioni arretrate e depresse di alcune zone della Sicilia. È organizzato dal Centro Studi e Iniziative per l’occupazione di Danilo Dolci (nella foto)che già svolgeva la sua opera, la sua missione laica nella Sicilia occidentale: di aiuto alla povertà dell’Isola e per favorirne lo sviluppo attraverso l’impegno civile, l’impegno culturale in senso esteso. Per tre giorni Palma di Montechiaro, da paese depresso, diventò sessant’anni fa teatro di un possibile cambiamento, di una Sicilia che cambia.

Accanto a Dolci, che proprio nel 1960 pubblica il libro-inchiesta Spreco, ci sono (tra tanti altri intellettuali, economisti e politici) Carlo Levi e Giorgio Napolitano, allora dirigente del Pci, che nel suo intervento sottolinea come all’insediamento di alcune industrie moderne in Sicilia non abbia fatto riscontro il miglioramento economico di altre zone dell’isola. E c’è Leonardo Sciascia, che al convegno partecipa come relatore e come inviato dell’Ora. Nel 1955 erano usciti tre libri sulla Sicilia degli scrittori presenti a Palma: Banditi a Partinico di Dolci; Le parole sono pietre di Levi; e Cronache scolastiche di Sciascia.

Tra Sciascia e Dolci non c’era molto feeling, per il modo eclatante con cui il sociologo triestino dava risalto alle proprie iniziative. Carlo Levi dice, con riferimento al carattere amaro, di rassegnazione e immobilismo dell’opera di Tomasi di Lampedusa, che il convegno di Palma è “una specie di confutazione del Gattopardo, nella sua stessa terra, confutazione che è necessario non sia né velleitaria né generica, ma concreta, precisa, legata alle cose minime e vere”. Che poi altro non erano essenzialmente, queste “cose minime e vere”, che le condizioni di vita e di salute dei suoi cittadini. Le cose più importanti. Sciascia si augura che Palma – con i suoi problemi insoluti, la sua omertà anche, i suoi contadini, le donne e i bambini coi loro mali, la loro povertà – sia ora pronta per la riscossa, capace di uscire dalla visione che Tomasi aveva della Sicilia: di un mondo irrimediabilmente fermo, “disancorato dalla storia”.

Gli atti di questo storico convegno sono stati raccolti da Salvatore Costantino e Aldo Zanca in un volume di 368 pagine intitolato Una Sicilia “senza” e pubblicato da Franco Angeli nel 2014. E in cui emerge nettamente il contrasto tra una modernizzazione “passiva”, una modernizzazione “senza” appunto, portata avanti da oligarchie che, puntando molto sulle risorse estrattive dell’isola, fanno solo i propri interessi; e una modernizzazione “attiva”, suggerita proprio dal Centro studi di Danilo Dolci, che punta sui valori identitari del territorio, le sue peculiarità e la sua cultura per coinvolgere le popolazioni e farle sentire protagoniste di questi processi di sviluppo. È chiaro, comunque, che sia per la modernizzazione attiva che per quella passiva, l’acqua è fondamentale. E di acqua ce n’è in Sicilia. Solo che la sua classe politica fa la scelta dissennata di convogliarla verso l’industria nascente e di negarla all’agricoltura e alle campagne, destinate così all’inaridimento e all’abbandono.

Due mesi dopo il convegno palmese, a Licata scoppia la tragica rivolta del 5 luglio che proprio nella cronica mancanza d’acqua trova una delle cause principali. La Regione non resta indifferente e nel 1963 vota la Legge Speciale per Licata e Palma. Un piano di risanamento socio-economico che prevede piani regolatori, costruzione di dighe, nuove strade e un sistema fognario efficiente.
Ma la classe politica delle due città, colpevolmente, non sa farne uso.

Nella seconda metà degli anni Sessanta il risultato è che non c’è settore dell’occupazione, dall’agricoltura all’edilizia e alla cantieristica, dove non si rileva una crisi preoccupante, benché la valvola dell’emigrazione sia già entrata in funzione. Il centrosinistra, dopo i primi entusiasmi, registra il fallimento delle proprie politiche e quello della Regione Imprenditrice.

I problemi di Palma entrano nell’inchiesta Processo alla Sicilia (1967) di Pippo Fava. Sette anni dopo sono gli stessi problemi denunciati durante il convegno. Fava parla di tifo e tracoma, povertà diffusa e alta mortalità infantile, abbandono scolastico in età minorile e emigrazione per le miniere di ferro e di carbone della Germania e del Belgio e per le campagne della Francia. Il quadro di Palma è identico a quello di molti altri paesi siciliani, senz’acqua e fognature, che vivono dei soldi spediti dagli emigrati alle famiglie e dove la condanna all’emigrazione diventa la sola salvezza, il solo modo di sopravvivere.

(g.c.)