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beni-confiscati-mafia-790x386Riceviamo e pubblichiamo una nota dell’associazione A Testa Alta sui beni confiscati alla mafia.

Mesi fa “A testa alta” ha inviato una nota al Comune di Licata chiedendo di conoscere l’esatta consistenza degli immobili confiscati nel territorio di Licata alle organizzazioni criminali. “Quali sono i beni confiscati nella nostra città?”, “Dove si trovano?”, “Quali sono le attività che vi si svolgono?”, “Chi attualmente detiene questi beni e a quale titolo?”. A partire da queste domande, “A testa alta” ha dato inizio a uno studio sui beni confiscati nella nostra città per capire che fine hanno fatto i numerosi fabbricati e terreni sottratti a boss come Giuseppe Falsone, ex capo della famiglia mafiosa della provincia di Agrigento, e ai diversi esponenti delle cosche licatesi. L’elenco degli immobili confiscati, fornito a seguito della richiesta dell’associazione, evidenzia però “diverse anomalie” che, secondo l’associazione, “inducono a seri dubbi circa la correttezza dell’operato del Comune di Licata”. Ad essere passate a setaccio dai volontari di “A testa alta” sono anche gli atti con i quali il Comune, negli ultimi anni, avrebbe concesso il godimento di immobili confiscati ad alcune associazioni locali e a famiglie indigenti, attraverso procedure e criteri non congruamente predeterminati sia con riferimento alla scelta dell’assegnatario che all’utilizzo del bene assegnato. Per l’associazione, è necessario che il Comune si doti di un regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati, indicando con chiarezza gli enti che possono essere beneficiari di tali beni (tassativamente elencati nell’art. 48 del Codice Antimafia), prevedendo tra l’altro l’assegnazione con specifico bando pubblico che garantisca la massima trasparenza, la durata della concessione, una serie di obblighi a carico dei soggetti assegnatari e l’effettuazione di controlli da parte del Comune. Nel 2011, il Comune di Licata decise di uscire dal Consorzio per la Legalità e lo Sviluppo, chiedendo di rientrare nella piena disponibilità dei beni immobili conferiti; una decisione, questa, che – secondo “A testa alta” – fu frutto di “un’errata quanto azzardata e imprudente interpretazione di alcune norme di contenimento della spesa pubblica” e che, di fatto, per “A testa alta”, avrebbe favorito la nascita di una “situazione di generale disordine amministrativo e di sviamento dell’attività di gestione dei beni confiscati alla mafia dai principî stabiliti dalla legge”. Come si ricorderà, una delle prime richieste formulate dall’associazione al Commissario Straordinario del Comune di Licata, Dario Cartabellotta, è stata quella finalizzata a far rientrare l’Ente nel Consorzio e avviare progetti di riutilizzo ai fini sociali dei beni sottratti alla mafia. Il Commissario ha fatto subito quanto gli competeva, ma da diversi mesi si attende ancora che tale punto sia posto all’ordine del giorno in qualche seduta del Consiglio Comunale. Nel frattempo, l’associazione licatese non è rimasta con le mani in mano: lo studio di analisi e ricerca che ha sviluppato, oltre a mettere in luce taluni aspetti poco chiari, consentirà di monitorare e mappare i beni di tutto il territorio licatese e rappresenterà un ausilio preziosissimo per le associazioni impegnate nel sociale nella nostra città e per i tanti giovani che intendono proporsi in iniziative imprenditoriali valide.

“Questi beni riconducibili al boss Falsone – aggiunge Antonino Catania, presidente dell’associazione – che si aggiungono agli altri confiscati alla criminalità organizzata nel nostro territorio e sul cui utilizzo stiamo cercando di fare chiarezza, erano in attesa di essere trasferiti al Comune da parecchio tempo. Ci complimentiamo dunque per la sensibilità dimostrata dal dottor Cartabellotta che ha ritenuto dover dare alla città un segnale importante”.