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È difficile trovare slogan più becero di “aiutiamoli a casa loro”. L’Africa è stata quasi tutta venduta o data in affitto, grazie al fenomeno del land grabbing. Che vuol dire accaparramento di terre, neocolonialismo. Ne restano soltanto i tramonti, che Céline vedeva come altrettanti assassini del sole, e il riso macabro e raccapricciante della iena. Questi nessuno li compra perché non se ne ricava alcun profitto.

Il Kenya ha dato al Qatar 40 mila ettari di terreno (inclusi i pescatori e i pastori che vi lavoravano) in cambio della costruzione di un porto. La Tanzania ne ha venduti addirittura 400 mila a un emiro che ne ha fatto la propria riserva di caccia. Erano pascoli prima di essere recintati e protetti con le armi dalle tribù che vi sconfinano. La Corea ha acquistato il 50 per cento delle aree coltivabili del Madagascar. E la compagnia inglese New Forest, che commercia legname, ha sfrattato 22 mila ugandesi diventati improvvisamente ospiti dei villaggi in cui vivevano. Duecentomila etiopi della bassa valle dell’Omo l’hanno dovuta abbandonare perché destinata a un piano di sfruttamento intensivo con capitali stranieri che tanto fanno comodo al loro dittatore. La Banca mondiale ha stimato nel 2009 che dei 46 milioni di ettari di terreno acquistati o affittati per novantanove anni nel mondo, i due terzi riguardano l’Africa subsahariana.

Potremmo continuare con altri dati e cifre. Questi sono capitali per così dire leciti. Ma potremmo parlare anche degli investimenti illegali delle agro-mafie per tracciare un bilancio ancora più completo. E non dimenticare lo smaltimento dei rifiuti tossici dell’Occidente nel continente africano. Meglio, nella discarica africana.

Come si fa dunque ad aiutarli “a casa loro” se chi fugge dalla fame non ha più una casa? E se la sua è diventata nostra? Se in Africa non esistono più titoli di proprietà? E per la fame vi si vende tutto: dalle case ai villaggi, dall’acqua ai pascoli?

Questo continente il colonialismo vecchio e nuovo, antico e moderno l’ha depredato di tutto – biocombustibili, pascoli, olio di palma e rose, colline e laghi – senza dargli in cambio quel che gli serve: acqua e grano innanzitutto.

Prima di spacciare per verità parole semplicemente vuote, ma ripetute come un mantra, bisogna conoscere cosa muove davvero l’immigrazione senza freni dei nostri giorni. E ammettere le nostre responsabilità, attuali e pregresse. Problemi complessi richiedono soluzioni complesse, non certo semplificazioni e slogan: in un mondo globale in cui, se vogliamo dirla tutta, nessuno è più davvero padrone a casa propria; e dove non c’è paese, per quanto forte economicamente, che non abbia bisogno di un altro paese che gli compra il debito.

Sull’immigrazione tutti i paesi, e naturalmente anche l’Italia, stanno riconsiderando le politiche aperturiste. Realisticamente o cinicamente, a seconda dei punti di vista. E per rendere compatibili la demografia dell’Africa, i suoi flussi migratori con l’economia dell’Europa. Il risultato già si vede: nessun paese vuole immigrati. Tutti a protezione dei propri confini. Loro non hanno più una casa, noi non vogliamo accoglierli in quella che ancora crediamo come nostra. E così restano in mare, su una nave o un gommone, a casa di nessuno.

Gaetano Cellura