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L’economista e filosofo indiano Amartya Sen ci ricorda quello che spesso dimentichiamo: e cioè che “l’idea di un sud arretrato da contrapporre a un nord più avanzato è molto recente”. E storicamente sbagliata. Al sud è nata la civiltà minoica, con la sua fondamentale influenza sulla storia di Roma e dell’Europa. Un filosofo del sud, Aristotele, ha detto di non ridurre il senso della vita alla sola ricerca della ricchezza materiale. Al contrario, dal Nord sono venute le invasioni barbariche.

La dicotomia Sud-arretrato e Nord-avanzato è il prodotto dell’imperialismo francese e inglese. Il primo sviluppatosi verso sud, il secondo verso est. Di fatto è l’Europa, che va alla conquista del mondo intero, a creare la contrapposizione tra un nord e un occidente evoluti e un sud e un oriente antiquati. Da una parte il progresso, dall’altra l’arretratezza.

Per Amartya Sen queste “concezioni superficiali” non potevano reggere a lungo. E soprattutto oggi sono “difficili da sostenere”, di fronte allo sviluppo dell’Asia e di parti dell’America Latina e dell’Africa. Non bisognerebbe discuterne nemmeno in Italia, dove una divisione nord-sud c’è stata se pensiamo alla sua storia, ma non sempre a favore del settentrione. Basta ricordare la storia intellettuale di Napoli e – aggiungerei io – la letteratura e la civiltà storica e artistica della Sicilia. Ricordarlo a chi vorrebbe spiegare il maggiore sviluppo capitalistico e industriale del Nord Italia nei termini di una sua superiorità culturale e antropologica.

Sen è convinto che tra un secolo l’attuale gap economico può essere rovesciato se il mezzogiorno d’Italia avrà chiari i suoi obiettivi. Creare fin da ora le condizioni non  della sola ricchezza – che è importante ma non è tutto, come ci dice Aristotele – ma del vivere bene, la vera cosa che rende liberi. E vivere ben vuol dire tanto: protezione ambientale, fiumi non inquinati, un contesto sociale “in cui il crimine non sia dilagante e le persone si possano sentire al sicuro, fidarsi le une delle altre e comunicare tra di loro senza la paura che possa accadere qualcosa di terribile”. Ricchezza sì, dunque. Ma anche una società organizzata, uno Stato presente e funzionante, una cultura in grado di migliorare la vita umana.

Sono le parole di un economista e filosofo cui seguono quelle di Rosy Bindi, che pone l’accento su quanto il divario tra il nord e il sud, così insostenibile, sia un male per tutto il paese. Alle cose dette da Sen sul sud, la presidente della Commissione antimafia aggiunge l’abbandono scolastico, il lavoro precario, la piaga del caporalato, le logiche clientelari, l’infiltrazione mafiosa negli enti e nelle amministrazioni locali.

L’uno e l’altra sono stati intervistati dalla fondazione Con il Sud per il volume della Mondadori Visioni e storie di un’Italia che può cambiare. “Questione meridionale e questione criminale – dice Rosy Bindi – sono due facce della stessa medaglia: l’una alimenta l’altra in un circolo vizioso che va spezzato”. Ma limitare al sud il fenomeno mafioso e omertoso, pensare che possa attecchire soltanto in certe regioni significa averne una visione arcaica. Perché la mafia, con i suoi sistemi sempre più moderni, si è globalizzata: non c’è settore dell’economia o della finanza, degli appalti pubblici, al sud come al nord, dove non sia capace di entrare, fare affari, dettare condizioni. Contro mafia e corruzione pubblica (anche quest’ultima mai debellata, mai scoraggiata) lo Stato non può più farsi trovare impreparato o in ritardo. E proprio dal sud, più di trent’anni fa – con Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Pio La Torre – è partita la sua riscossa. La dimostrazione che, se si vuole, la piovra può essere sconfitta, i suoi tentacoli tagliati.

Gaetano Cellura