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rivaEra il 1968, l’anno della contestazione, quando l’Italia, padrona di casa, vinse il suo (ancora unico) Europeo. Una sera di giugno in cui lo stadio Olimpico si accese di fiaccole dopo i gol di Riva e di Anastasi. Era la terza edizione del campionato d’Europa per nazionali. Alla prima, vinta dalla Russia nel 1960, gli Azzurri non avevano partecipato. La seconda edizione l’aveva vinta la Spagna.

L’Italia arrivò a quell’appuntamento dopo il disastro del Mondiale inglese e della cocente eliminazione subita dai dilettanti della Corea, proprio cinquant’anni fa, storica pagina nera del nostro calcio. Valcareggi aveva preso il posto di Fabbri sulla panchina e, con la vittoria dell’Europeo e il secondo posto nel Mondiale messicano del ’70, restituiva alla Nazionale l’onore perduto quattro anni prima.

In realtà la partita con la Corea era stata tra le più sfortunate. All’Italia bastava un pareggio per superare il girone eliminatorio. Dominò la gara, sprecò tante occasioni per segnare e poi fu punita dal gol di un dentista coreano passato alla storia. Al rientro in Italia, la squadra e il suo commissario tecnico furono accolti all’aeroporto con un insistito lancio di pomodori da parte dei tifosi.

Ma il bello del calcio, e dello sport in genere, è che ti dà la possibilità del riscatto. Tre dei giocatori in campo contro la Corea – Facchetti, Mazzola e Rivera – saranno infatti tra i protagonisti della Nazionale campione d’Europa e vicecampione del mondo. La fortuna, che ci aveva voltato le spalle due anni prima, ci fu amica nel ’68. In semifinale la partita dell’Italia con la Russia, giocata a Napoli, finì in parità e fu necessario il sorteggio, con la monetina a nostro favore, per passare il turno. La stessa finale con la Jugoslavia si giocò due volte. Pareggiammo a dieci minuti dalla fine con una punizione di Domenghini la rete dello svantaggio di Dzajic. Una punizione dal limite dell’area contestata dai nostri avversari e passata tra le gambe di un giocatore della barriera.

Il regolamento prevedeva allora la ripetizione della finale quarantott’ore dopo. L’Italia cambiò cinque giocatori rispetto alla prima partita; la Jugoslavia solo uno. E le forze fresche fecero la differenza.

(g.c.)