Pubblicità

di Gaetano Cellura  Adorno disse nel 1949 che sarebbe stato impossibile fare poesia dopo Auschwitz. Confesso di non aver mai approfondito il significato di queste parole. Forse il filosofo ha voluto dirci che niente poteva più toccare la nostra sensibilità dopo l’orrore dei campi di sterminio. Nemmeno la poesia.

Oggi possiamo dire, leggendo e ascoltando le notizie che ci arrivano dai kibbutz israeliani, dove è stato perpetrato il massimo, l’inaudito della violenza terroristica di Hamas, che è impossibile persino scrivere, commentarle. Non solo fare poesia, l’arte meno redditizia ma più resistente che (almeno in noi) tocca le corde della sensibilità. Ma propriamente e semplicemente diventa impossibile scrivere. Meccanicamente scrivere. E di cosa poi? Della barbarie e dell’orrore?

Duecento morti innocenti trucidati nei kibbutz tra cui settanta bambini. La peggiore offesa fatta a Dio e all’umanità intera. Cosa c’entrano i civili con le rivendicazioni di Hamas, con le rivendicazioni storiche del popolo palestinese di cui l’organizzazione terroristica non è comunque legittima rappresentante? Cosa c’entrano con gli errori e le provocazioni del governo di Netanyahu? Con gli errori della politica, anche di quella occidentale in quell’area nevralgica e tra le più instabili del mondo?

C’entra soltanto, a voler essere schietti, l’essere ebrei in quel tremendo sterminio: il loro doppio destino. Di esser uomini e di essere ebrei. Nient’altro può spiegare questa strage di innocenti, come giustamente viene chiamata dai giornali. E di fronte a questo si può solo deporre la penna.

Il kibbutz ha una lunga storia, iniziata all’inizio del secolo scorso a sud del lago di Tiberiade. “Tra amici”, il bel romanzo di Amos Oz, ci dice cos’è: l’unico esperimento di vita sociale che non ha comportato spargimenti di sangue e dove la vita passa senza poter pensare a cose semplici come la solitudine, la nostalgia, il desiderio e la morte. Lì, nei kibbutz, si è compagni senza essere amici. Lì nel 2010 si è prodotto il 9 per cento del prodotto industriale di Israele e il 40 di quello agricolo. E su queste comunità di lavoro e di pace s’è abbattuta la violenza, la barbarie. A cui, spero, non si risponda con altrettanta barbarie: questa volta contro Gaza. Perché anche lì ci sono civili. Anche lì ci sono innocenti, palestinesi.