Riceviamo e pubblichiamo una nota dell’associazione “A testa alta” che segnala la crescente e preoccupate diffusione del fenomeno “Spotted” anche tra gli alunni delle scuole secondarie di primo grado di Licata.
Con una nota indirizzata agli Istituti comprensivi di Licata “F. Giorgio”, “G. Marconi”, “A. Bonsignore” e “S. Quasimodo” nonché al Prefetto di Agrigento e al Commissariato di Poliziz di Licata, l’Associazione di promozione sociale contro le mafie e le illegalità “A testa alta” interviene sulla crescente e preoccupante diffusione del fenomeno “Spotted” anche tra gli alunni delle scuole secondarie di primo grado di Licata. Com’è noto, tale fenomeno si concretizza in alcune pagine fan e profili personali di Facebook destinati alla pubblicazione di messaggi anonimi indirizzati a soggetti individuati o facilmente individuabili. La nota di “A testa alta” – a firma del Responsabile della Sezione “Cittadino e Pubblica Amministrazione”, avv. Simona Mulè, e del Presidente dell’Associazione, avv. Antonino Catania – riporta gli screenshots di alcuni messaggi pubblicati nelle pagine fan dedicate agli alunni delle scuole secondarie di primo grado “F. Giorgio” e “G. Marconi” di Licata, nonché quelli pubblicati in alcuni profili personali di Facebook utilizzati per la pubblicazione di messaggi diretti ad alunni di diverse scuole di Licata dal contenuto pesantemente offensivo e con riferimenti sessuali espliciti a danno del malcapitato di turno, preso di mira. Numerosi post – continua la nota di “A testa alta” – contengono riferimenti atti a indentificare facilmente i destinatari delle offese (quali le iniziali dell’alunno o dell’alunna, la classe frequentata, ecc.) e, in alcuni casi, addirittura l’esatta indicazione del nome e del cognome dei destinatari stessi. I messaggi denigratori e offensivi e i malevoli pettegolezzi riguardano ogni aspetto: dall’abbigliamento al fisico, dall’atteggiamento alle presunte abitudini sessuali altrui. Il contenuto delle pagine e dei profili “Spotted” risulta inoltre indicizzato da Google e da altri noti motori di ricerca, con la conseguenza che i messaggi diffamatori (contenenti nomi e cognomi degli alunni o altre informazioni idonee alla loro identificazione) sono visibili da un numero potenzialmente indeterminato di soggetti, non soltanto agli utenti di Facebook, e per un periodo di tempo prolungato e incontrollato. Secondo “A testa alta”, la precisa individuabilità dei destinatari dei messaggi, la comunicazione con più persone, il carattere “pubblico” dei post, la conoscenza da parte di più persone, l’incontrollata diffusione dei post tramite i motori di ricerca, la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare l’offesa al decoro, onore e reputazione dei soggetti destinatari, peraltro minorenni, potrebbero integrare il reato di diffamazione e nella forma aggravata di cui all’art. 595, terzo comma, c.p., poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale. E tuttavia – prosegue la nota – molti genitori sono all’oscuro del fatto che i propri figli sono vittime, attori o spettatori di questo fenomeno. Sarebbe opportuno fare opera di informazione e sensibilizzazione degli alunni destinatari dei messaggi diffamatori e delle rispettive famiglie, riguardo alla possibilità e all’opportunità di presentare querela. La diffusione del fenomeno – aggiunge “A testa alta” – per la tipologia e le possibili gravi conseguenze psicologiche per l’adolescente, sino ai casi estremi di suicidio (si ricorda il recente caso della quattordicenne di Novara, Carolina Picchio, gettatasi dal balcone di casa perché vittima di continui insulti sulla sua persona postati su Facebook da cyberbulli), necessita di un’immediata vigilanza da parte dei Dirigenti scolastici, i quali dovranno attivare – ove non già provveduto – i più appropriati interventi educativi di carattere preventivo. Al riguardo, anche alla luce delle più recenti esperienze in materia (v. Vademecum per ragazzi, famiglie e scuole, elaborato dalla Prefettura di Rovigo in collaborazione con le Forze dell’Ordine della provincia di Rovigo in data 21-01-2014), per l’Associazione “A testa alta”, è opportuno: 1. aggiornare il Regolamento d’Istituto, prevedendo apposite norme in tema di cyberbullismo e navigazione on line sicura, specificando quando e come si possono utilizzare all’interno della scuola tablet e smartphone; 2. informare genitori e studenti sulle sanzioni previste dal Regolamento di Istituto nei casi di cyberbullismo e navigazione on line a rischio nonché sulle prescrizioni stabilite in materia dal codice penale, dal codice civile e dal codice sulla privacy, intervenendo con apposite circolari ed invitando gli studenti a riflettere sui rischi della pubblicazione di alcuni messaggi sia in quanto possono essere considerati diffamazione, e puniti per questo, sia perché, ad ogni modo, si rischia di ledere in maniera pesante l’onorabilità e la dignità personale di altri; 3. organizzare per i genitori incontri che affrontino direttamente questi temi; 4. creare all’interno della scuola un team anticyberbullismo, nominando un docente in qualità di responsabile del coordinamento delle attività di prevenzione, con l’affiancamento di genitori e studenti disponibili a collaborare.
L’Associazione “A testa alta” evidenzia che sono stati analizzati soltanto quei post pubblici, visibili a chiunque visiti il diario delle pagine fan o quelli dei profili personali “Spotted”. L’amministratore di una pagina e il titolare di un profilo possono infatti decidere di far vedere parte dei contenuti soltanto ai rispettivi fan e contatti. Non è da escludere, conclude la nota, che vi siano altri messaggi aventi carattere diffamatorio o vessatorio visibili soltanto ai numerosi fan e “amici”, come li chiamano su “Facebook”.