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acqua_foto_acquedotto_33Se cerchiamo una spiegazione al fallimento del paese e soprattutto al disastro economico siciliano non troviamola soltanto nei fenomeni diffusi di corruzione pubblica che tangentopoli, vent’anni fa, non è riuscita a fermare. Ma anche nelle società di scopo attraverso cui sono stati privatizzati i servizi pubblici con il conseguente aumento dei costi per i cittadini. Tant’è vero che paghiamo le aliquote più alte di tassazione alle imprese e ai redditi individuali. Paghiamo bollette salatissime e ormai insostenibili per lo smaltimento dei rifiuti e per il servizio idrico. Per i due ATO cioè che hanno dissanguato le famiglie siciliane a fronte di un servizio per nulla migliorato. Basta guardare la pulizia della città (delle città) per averne prova. E quanto all’acqua, la paghiamo addirittura due volte. Perché compriamo in bottiglia quella da bere e paghiamo al gestore quella che ci viene erogata (potabile solo per il costo).

Dietro tutto questo c’è l’ideologia delle privatizzazioni degli ultimi vent’anni. Ancora in voga nonostante i disastri che ha combinato nell’ambito della gestione dei rifiuti in Sicilia e nonostante la volontà espressa (con il referendum) dai cittadini per un immediato ritorno all’acqua pubblica.

brandaraLa parola privatizzazione in tutti questi anni – e in Sicilia dall’inizio del Duemila – ha significato una sola cosa: affidare politicamente alle imprese amiche la gestione di servizi vitali per la popolazione svuotando di compiti, poteri e controlli sicuri le pubbliche amministrazioni.

Questa è la storia dell’ultimo ventennio. Un aspetto, si capisce, solo della sua storia economica. Ma un aspetto fondamentale. Perché l’aumento dei costi per i cittadini è purtroppo coinciso con il momento economico tra i più negativi per il paese e per l’Isola, con la perdita del lavoro per molti, con l’aumento dei giovani disoccupati, con l’impoverimento generale delle famiglie e con una perdita complessiva di credibilità della classe politica.

Il problema è che questa ideologia nefasta persiste mentre le condizioni dell’economia e del lavoro impongono un’inversione di rotta e un ritorno a politiche di investimento pubblico.

Dalla cornice del quadro esposto non esce l’attuale gestione commissariale del comune di Licata. Né le amministrazioni comunali di Ravanusa, Grotte e Canicattì (quest’ultima fortemente attaccata qualche giorno fa dal presidente del consiglio comunale di Palma di Montechiaro).

La decisione di Maria Grazia Brandara di affidare a Girgenti Acque la quota delle reti idriche licatesi del consorzio Tre Sorgenti, come hanno fatto le altre amministrazioni sunnominate, è a dir poco sorprendente e inspiegabile. A meno di non pensare che anche lei sia una sostenitrice dell’ideologia delle privatizzazioni.

La nostra Commissaria straordinaria dovrebbe spiegare al consiglio comunale e alla città quali vantaggi ricava Licata dalla cessione delle proprie reti. Perché questa decisione sia stata presa senza darne preventiva comunicazione ai cittadini. Perché non ha aspettato che a prendere una decisione così importante fosse un’amministrazione democraticamente eletta. E perché l’ha fatto in un momento in cui è forte nei cittadini la volontà di un ritorno all’acqua pubblica. Diverso è stato il comportamento del sindaco Pasquale Amato di Palma di Montechiaro, che non ha ceduto le reti della propria città e che si è mostrato più rispettoso del diritto dei cittadini all’acqua pubblica e a un costo del servizio meno gravoso.

Nessuno qui, signora Brandara, vuol difendere il Tre Sorgenti, la sua esistenza. Ma nessuno è disposto a pensare che il problema dell’acqua, della sua erogazione e del suo insostenibile costo possa risolversi cedendo al privato quel po’ che ancora resta di gestione pubblica. Per cui se non ci sono ragioni inderogabili a imporla, e crediamo non ce ne siano, riveda la sua decisione e dia sostegno  all’iniziativa del sindaco e del presidente del consiglio comunale di Palma di Montechiaro a favore dell’acqua pubblica.

Gaetano Cellura