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La classe politica di allora – l’ultima a Licata della Prima repubblica – tentò di opporsi al provvedimento: con un ricorso legale che non venne neppure esaminato. La città visse invece con visibile soddisfazione lo scioglimento – per mafia – del proprio consiglio comunale. E addirittura con euforia lo vissero alcuni suoi ambienti contigui ai movimenti che cavalcavano politicamente l’antimafia, le collusioni della politica con la criminalità organizzata. In Sicilia (soprattutto) e nel paese.

Da quel 31 luglio del 1992 sono passati trent’anni. Esattamente quanti ne ricorrono dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio: dal sofisticato inferno di fuoco scatenato a Palermo da Cosa nostra. E ci voleva un bel coraggio in quel clima – di forte indignazione, di ribellione morale e civile, di discredito della politica, ma anche di generale terrore e sgomento per la portata dell’attacco sferrato dalla mafia allo Stato – a concentrare l’attenzione sullo scioglimento dei consigli comunali. La stessa sorte era già toccata a quelli di Gela e Palma, i comuni a noi più vicini.

Anzi, col senno e l’emotività di quei giorni ogni intervento dello Stato veniva visto come  la sua giusta reazione. Quando venne sciolto il consiglio comunale di Licata erano passati appena dodici giorni dalla strage di Via d’Amelio. E prima di quella domenica di luglio – tragica e tremenda – noi a Licata avevamo assistito, non senza sconcerto, alla plateale protesta inscenata da alcuni macellai locali davanti al Palazzo di Città. La chiusura del vecchio mattatoio comunale, ormai inadeguato, aveva fatto da detonatore. E trasformato per più giorni Piazza Progresso in una stalla. Con la presenza fissa di bestiame giorno e notte. E tutto questo nel silenzio della politica e nella totale inerzia dell’amministrazione comunale e delle altre istituzioni.

Crediamo siano state quella protesta di trent’anni fa, il suo esilarante scalpore nazionale, e l’inefficienza della classe politica locale le reali cause dello scioglimento del consiglio comunale di Licata. La mafia non c’entrava per nulla; e la sua infiltrazione mai provata negli anni successivi. E dunque quanti allora rivendicarono la loro innocenza e provarono ad opporsi al provvedimento dello Stato ne avevano ben donde. Ma la storia segue la sua corrente, che non sempre conduce alla verità. Alla verità, per parlare di qualcosa di molto più importante, che ancora manca su Via D’Amelio. Il vero cruccio dopo trent’anni.

Gaetano Cellura