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48a94682-7be3-11e4-_815578cBella davvero la lettera di Tahar Ben Jelloun (su la Repubblica di ieri): “Facciamo parte della stessa casa, ma non siamo tutti fratelli”. Tra di noi, scrive ai musulmani, altri hanno scelto la strada dell’omicidio barbaro e del terrorismo: la strada della guerra di religione. Ha scritto l’articolo subito dopo lo sgozzamento del prete cristiano in Francia: sull’altare, mentre celebrava la Messa. Lo scrittore marocchino ha usato le parole giuste: “un’aberrazione, una crudeltà che nessuna religione permette”. Soprattutto ha usato le parole “guerra di religione”. Quelle che il Papa continua a non pronunciare. Quelle che si rifiuta di pronunciare. Siamo in guerra, questo lo ammette. Siamo a una terza guerra mondiale. Ma continua a dire che le religioni non fanno guerre. Altri sono gli interessi da cui hanno origine i conflitti, e pure questo conflitto: le risorse, il denaro. Le religioni no, per papa Bergoglio che si appresta a celebrare la Giornata mondiale della gioventù. E sarà magari vero quanto dice. Ma vero sul piano puramente teorico.

E tuttavia se crede che le religioni, l’islamica in particolare, nulla c’entrino con la guerra, il suo dovere è dire chi c’è dietro gli altri interessi. Ma di quali notizie o segreti mondiali è in possesso Bergoglio per escludere completamente la religione islamica dalle cause della guerra?

L’Isis, da solo, e cioè senza gli alleati più o meno occulti che lo finanziano, senza l’ormai evidente ambiguità politica dei paesi islamici e pure dei paesi occidentali, senza quest’ambiguità, non potrebbe esistere. Cosa lo rende, o l’ha reso, così forte da autoproclamarsi “Stato”, nutrire mire egemoniche nelle parti del mondo in cui opera e, gradualmente, sull’occidente “corrotto e miscredente”? Come si spiega che molti aspiranti jihadisti di etnia albanese si addestrano in Kossovo, nazione controllata dalla Nato e che molti di loro, armati di pistole e kalashnikov, vengono lasciati partire indisturbati come foreign fighters?

Il magistero del Papa è più morale che politico. Ma nel momento in cui i cristiani – a Dacca e in tante altri parti del mondo – vengono uccisi a colpi di machete perché non vogliono convertirsi all’islam; nel momento in cui una chiesa cristiana (in Francia), e non era mai successo, viene profanata e il suo prete di 86 anni ucciso come agnello da lupi affamati, si può ancora dire che la religione sia fuori dalla guerra in corso? Perché Bergoglio continua a essere così prudente verso l’intero mondo musulmano? Perché non fa mai ricorso a parole che – di fronte all’orrore delle stragi terroristiche – ora adoperano anche apprezzati intellettuali musulmani come Ben Jelloun?

Anche noi siamo certi di non essere di fronte soltanto a una guerra di religione. Ma non ci sentiamo di escluderla. Non ne sarà  la prima causa, ma una sì. Il Papa, che la nega, ci parli meno genericamente delle cause per lui più importanti (denaro, risorse: ma quali risorse?) e dica quindi chi sono i suoi veri attori, i paesi in campo. Quelli colpiti li vediamo tutti giorni, e con una terrificante frequenza. Degli altri, nascosti dietro al cosiddetto Califfato, possiamo avere un’idea ma ancora nessuna certezza. Ed è questo a rendere sempre più vulnerabile l’Occidente.

(g.c.)

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