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di Gaetano Cellura Palazzine sventrate o rase al suolo, macerie dappertutto e uomini e donne che le scavano in cerca di superstiti; sacchi bianchi che ricoprono i morti posti uno accanto all’altro negli angoli delle strade, bombe sull’ospedale e persino contro i mezzi della Croce Rossa: questo il risultato dei raid israeliani. Ad un mese dall’inizio della guerra, di Gaza sopravvive poco o nulla. Strage di civili, feriti, spargimento continuo di sangue; e disperazione. Perché non s’intravedono spiragli neppure per una tregua.
Fauda in arabo vuol dire caos. E di idee confuse in effetti non ne mancano. Non solo tra le parti direttamente in campo – sul piano militare Israele soltanto in questo momento – ma soprattutto nella comunità internazionale, incapace di rimettere in moto le armi della politica e della diplomazia per arrivare quanto meno a una tregua delle ostilità. Difficile senza dubbio dopo quanto avvenuto il 7 ottobre con il feroce attacco dei fondamentalisti di Hamas. Ma con la consapevolezza che un’alternativa alla logica primordiale dell’azione-reazione e della vendetta, messa in campo da Israele, va necessariamente trovata. E prima possibile, per evitare un’escalation militare senza fine e un avvitamento della storia su stessa. Ci sono stati in un mese molti più morti che in un anno e mezzo di guerra in Ucraina.
Abu Mazen la pietra da cui ripartire, com’è nelle intenzioni di Blinken, il capo della diplomazia americana? Affidargli, finita la guerra, il governo di Gaza? Personalmente non la ritengo una grande idea. Il capo dell’ANP è piuttosto avanti con gli anni. Su di lui pesano – si legge – accuse di corruzione e di complicità con Israele. Poteva essere l’uomo giusto vent’anni fa. Ma oggi … Oggi l’ANP e chi la guida hanno un ruolo (o potrebbero ancora averlo) fuori dalla Cisgiordania? Sembra onestamente difficile perché bisognerebbe rivedere gli accordi di Oslo e i vincoli da allora imposti ai palestinesi, “concentrati su economia e sicurezza”.
La vera trattativa andrebbe fatta con l’ala politica di Hamas, quella che ha detto di essere estranea all’azione terroristica del 7 ottobre e che riconosce non gli accordi di Oslo, ma i confini del ’67 sì. E con l’apertura di un tavolo tra i grandi del mondo che veda la presenza dell’Iran, la cui influenza è notevole in quell’area geopolitica così tormentata e afflitta. Piaccia o meno a Israele e all’Occidente, l’Iran è lì la chiave di tutto. Un tavolo quindi per discutere delle varie fasi per arrivare a una pace globale, porre fine all’Intifada, isolare l’ala terroristica di Hamas e la stessa Hezbollah. Forse è un sogno. Ma solo la realizzazione di questo sogno può fermare la gara a chi è più brutale che si sta giocando.