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RomaPalazzoQuirinaleSono inutili i discorsi presidenziali di fine anno. Dovremmo spegnere la televisione per venticinque-trenta minuti e nemmeno leggere i commenti degli esponenti dei partiti che, subito o il giorno dopo, li accompagnano. E chi vi coglie un senso e chi il suo contrario. Chi parla di un messaggio positivo e di speranza e chi sottolinea le cose taciute, dimenticate (volutamente?) come la legge Fornero.

È così da sempre. Da quando era la radio a portarlo nelle case e poi la televisione in bianco e nero. Da sempre è stato un discorso noioso. E ora che viene pure trasmesso a reti unificate impedisce persino di cambiare canale. Quindi, l’unica soluzione è spegnerla la televisione. E magari non riaccenderla per il resto della serata e della notte. Meglio la tombola o lo scopone sino al brindisi che sorbirsi prima Mattarella e poi Amadeus o Gigi D’Alessio.

Quanti Presidenti della Repubblica hanno davvero amato gli italiani? Pertini per la sua spontaneità e il suo candore. E Ciampi forse. Einaudi è troppo lontano, figura di un’altra epoca per poter dire se suscitava pathos. Gli altri sono stati presidenti “divisivi” verso cui il giudizio era più politico che emozionale.

E cos’ha in effetti da dire oggi un presidente della repubblica che già non sappiamo, che già non ci auguriamo? Cos’ha detto di speciale ieri Mattarella?

La sicurezza, il terrorismo, il lavoro ai giovani, la piccola (secondo lui e secondo Renzi) ripresa dell’Italia, il problema ambientale, la legalità e l’evasione fiscale. Ma non sono i temi dell’Italia di sempre?

Ascoltare un messaggio di fine anno di Mattarella o trasmetterne qualcuno di Saragat o di Leone è la stessa cosa, nonostante il tempo trascorso. Speranza e auguri stereotipati di un anno migliore, con più lavoro e benessere, più pace e sicurezza. C’è sempre un terrorismo (interno o esterno) da sconfiggere, una pace mondiale da salvaguardare, una democrazia da rafforzare. Prima era l’emigrazione il nostro problema ora è l’immigrazione. Ma sempre di umanità povera si tratta in un mondo pieno di disuguaglianze.

Prima di Natale, il priore della comunità di Bose Enzo Bianchi ha detto a Il fatto quotidiano che lo Stato deve pensare agli ultimi se non vuole farne delle persone perdute, e che tutti nel mondo devono avere le stesse opportunità di sviluppo e di affermazione. Tutti i governi – ha detto questo monaco che lavora, studia, scrive libri, accoglie i poveri e gli affamati – sono inginocchiati di fronte al potere idolatrico del mercato. Nessun governo, nessuna forza politica più porta avanti un discorso di giustizia sociale “necessario in un momento in cui il divario tra i pochissimi che hanno tanto e i tantissimi che hanno poco o nulla è sempre, tragicamente, maggiore”. Non solo: ma sono pure diventati sordi a un messaggio di questa dimensione culturale. Una volta non era così. C’era ascolto e sensibilità per il “duro mestiere della vita”, per il diritto che ogni uomo ha di essere felice e amato.

Per tutti gli italiani, ieri sera, sarebbe stato meglio leggere quest’intervista di Enzo Bianchi che ascoltare il discorso presidenziale. 

Gaetano Cellura