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Lo Statuto era stato conquistato. Occorreva ora eleggere quell’Assemblea regionale che ne costituiva una delle prerogative più importanti. Ma non tutti i partiti erano pronti per l’appuntamento elettorale. E non mancarono scontri e polemiche sulla sua data: il 20 aprile del 1947. Comunisti, socialisti e separatisti, le forze che maggiormente si erano battute per l’Autonomia della Sicilia, volevano le elezioni subito; altre ritenevano ancora immaturi i tempi e ne proponevano il rinvio. E per ragioni non prive di fondamento. Una di queste era di dar tempo all’Assemblea Costituente, i cui lavori erano in corso, di “coordinare” lo Statuto con la Costituzione. Fu l’Alto Commissario Selvaggi  ad affrettare i tempi delle votazioni (una vecchia foto del giornale L’Ora lo mostra in compagnia del giovane Emanuele Macaluso durante una visita a Caltanissetta): e la sua proposta venne accolta dal Consiglio dei Ministri.

Finite le polemiche, quei primi giorni d’aprile di settant’anni fa furono pieni d’emozione. Non tanto per la democrazia ritrovata, quanto per il ritorno dell’antico parlamento siciliano. Dei novanta seggi disponibili, sessantasei vennero assegnati nelle circoscrizioni provinciali; gli altri ventiquattro nel collegio unico regionale, riservato dai partiti ai candidati “illustri” – giuristi, ingegneri, altre personalità eminenti – per blindarne l’elezione. E nel collegio unico, insieme ad altri democristiani come Alessi, Restivo e Milazzo, fu eletta (ma non senza patemi) la licatese Ines Giganti Curella.

Le elezioni furono vinte dal Blocco del Popolo (una lista di socialisti, comunisti e indipendenti) con i suoi ventinove seggi. Maggioranza relativa che impedì alla sinistra di governare l’Isola. La Dc ottenne venti seggi e diede vita a un suo governo monocolore, in virtù di una risicata e improvvisata maggioranza di cui faceva parte la destra monarchica, liberale e qualunquista. Particolari condizioni storiche e politiche erano destinate a influenzare i successivi decenni della democrazia italiana. L’ordine di Truman di escludere i comunisti dal governo era già arrivato ed ebbe il suo peso sul fatto che il blocco progressista, vincitore in Sicilia, finisse all’opposizione. La stessa strage di Portella della Ginestra, undici giorni dopo le elezioni, viene ancor oggi letta come la risposta reazionaria a quella vittoria. Il 7 di marzo c’erano stati altri episodi di violenza, a Messina, con un reparto di carabinieri che al grido di “avanti Savoia!” spara contro il popolo in sciopero davanti alla prefettura. Due morti e quattro feriti.

Anche a Licata il Blocco del Popolo aveva vinto le elezioni con i suoi 6.809 voti. E fu questa sua vittoria, unita al successo ottenuto dall’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini (2649 voti), a mettere a rischio l’elezione della locale candidata democristiana. Lo storico Giuseppe Peritore, nel suo Licata città rivoluzionaria, si dimostrò molto critico nei confronti dei licatesi che votarono per il movimento dell’Uomo qualunque. Li chiamò “franchi tiratori” contro quella speranza di rinascita della città che per lui rappresentava l’elezione di Ines Giganti Curella. Non votarono per gli altri candidati licatesi Porcelli e Santamaria, ma per due avvocati forestieri: Gaetano Restivo di Palermo e Giuseppe Signorino di Canicattì.

L’Uomo Qualunque raccoglieva tutto il malcontento contro il ritorno dei partiti e tutte le nostalgie monarchiche e fasciste. Ma a Licata qualcosa di più: la volontà forse di fare un torto a l’unica candidata con concrete possibilità di vittoria e di farlo nello stesso tempo alla città. Da allora – e sono passati settant’anni – votare il forestiero in luogo del candidato locale sarebbe stata una costante dell’elettorato licatese.

Gaetano Cellura