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bidoni_acquaQualche importante passo avanti indubbiamente è stato fatto verso il ritorno all’acqua pubblica. Ma festeggiare la riforma votata dall’Ars, come è avvenuto a Burgio; o cantare vittoria, come hanno fatto alcuni deputati regionali e alcuni esponenti dei vari comitati, è esagerato.

La cosa migliore l’ha detta Agostino Licata, ieri in televisione: “Abbiamo vinto una battaglia, ma non abbiamo ancora vinto la guerra”. I nodi da sciogliere sono tanti infatti. A cominciare da Siciliacque, di cui la Regione detiene il 25 per cento e all’inizio della privatizzazione solo il 5 per cento delle azioni. Con quali capitali tornerà pubblica o a maggioranza pubblica?

Stessa domanda da porsi per quanto riguarda i nuovi consorzi. I comuni che dovrebbero gestirli hanno oggi capitali a sufficienza per sostituirsi ai gestori privati, governare la fase di passaggio da una gestione all’altra e garantire ai cittadini l’acqua necessaria per usi potabili e civili a un costo accessibile a tutti?

E credete sia facile, nonostante la nuova riforma, smantellare gli attuali potentati – groviglio di profitti e di interessi politici e clientelari – sorti attorno al sistema dell’acqua nell’Isola?

Già il fatto che gli Ato idrici siano rimasti nove – uno per provincia – dovrebbe dare l’idea di quanto il cammino verso l’acqua pubblica sia ancora molto accidentato. Dovevano scendere a cinque, quanti sono i bacini idrografici in Sicilia, per bilanciare il giusto quantitativo di risorse idriche nei vari territori, e invece continueremo ad avere Ato con più acqua rispetto al numero della popolazione, e Ato con una popolazione superiore al quantitativo d’acqua di cui dispone.

E non è un caso che proprio su questo punto – la riduzione degli ambiti ottimali, cioè – la riforma ha rischiato di saltare e sia stato necessario un lungo lavoro di compromesso politico. Questa è la dimostrazione di quanto ancora forte sia l’intreccio tra la politica siciliana e i vari gestori privati del servizio idrico.

Una riforma seria non si sarebbe limitata a rispettare lo spirito del vittorioso referendum sull’acqua pubblica, ma avrebbe uniformato gli Ato ai bacini dell’Isola e avrebbe tracciato le linee per rendere veloce, conveniente ed efficiente la transizione dall’attuale sistema privato al nuovo sistema pubblico. Per il momento il rischio che si corre è quello della confusione e dell’immobilismo. Chissà per quanto tempo ancora. Per cui: se da un lato è pure giusto gioire per la riforma che ristabilisce il diritto all’acqua pubblica, dall’altro occorre che sindaci e consigli comunali si mettano subito al lavoro per avviare con capitali pubblici i nuovi consorzi e per dare ai cittadini le risposte attese. Non sarà un lavoro facile.

(g.c.)