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cucchiTroppi casi. Quello di Franco Mastrogiovanni, il “maestro più alto del mondo”. Quelli di Aldrovandi e di Francesco Magherini. Questo di Cucchi. Troppi (altri ancora ne potremmo citare, fino al caso Pinelli) per non parlare dell’Italia come di un paese dai diritti umani a corrente variabile.

Mastrogiovanni (di cui mi sono occupato in un racconto della Bottega di Spinoza) è morto in un letto di contenzione, dopo essere stato sottoposto a quattro giorni di TSO, per un infarto causato da edema polmonare. Morte normale, morte naturale, dunque. Ma dall’autopsia emergono segni che fanno pensare il contrario. Di Federico Aldrovandi, studente ferrarese, overdose la prima versione della morte, e dell’ex calciatore Magherini, fermato e pestato, sappiamo tutto. Verità e menzogne.

Quanto a Stefano Cucchi, la perizia sulle cause del decesso avanza ora l’ipotesi dell’epilessia o del cocktail di droga e farmaci per curarla. Un’ipotesi, secondo gli esperti nominati dal Gip, più attendibile delle ferite sul suo corpo. Anche ad accoglierla, e si fa fatica, resta da stabilire perché Cucchi è stato ridotto in quel modo.

Il suo caso, come gli altri naturalmente, dovrebbe quantomeno spronare una classe politica seria a riprendere la discussione parlamentare sul delitto di tortura, interrotta all’inizio dell’estate e rimandata a dopo.

Vi pare che se ne stia parlando? Eppure la discussione su questo reato risale al 1988. Dopo ventott’anni, “un Senato inqualificabile e infingardo – ha scritto Luigi Manconi sul Manifesto – ha deciso che fosse troppo presto per parlarne”. Rinviandolo – ora ne siamo certi – non a dopo l’estate, ma a data da destinarsi chissà quando. Bella figura ci fa il paese di Verri e di Beccaria.

Gaetano Cellura