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Van Gogh, tristezza estrema di un pittore

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di Gaetano Cellura Nell’epistolario, che aiuta a capirne personalità e tendenze artistiche, Vincent Van Gogh parla di sé come di un fallito. Forse perché, timido inquieto solitario e triste sin dall’adolescenza, non ha ancora realizzato nessuno dei propri progetti di vita: studiare, lavorare, diventare pastore e predicatore, farsi una famiglia. Più probabilmente perché ha scoperto tardi, a ventotto anni, la sua vera vocazione: quella per l’arte, cui dà una spinta coraggiosa. A dispetto del luogo comune che lo voleva pittore incompreso.

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Una domenica sera l’artista olandese, il pittore incompreso che in vita ha venduto un solo quadro (La vigna rossa, a Bruxelles per 400 franchi), s’incammina nella campagna di Auvers, posa il cavalletto contro un covone e si tira un colpo di rivoltella. Non muore, cade e si rialza. Ce la fa a raggiungere l’albergo dove alloggia e a chiudersi in camera senza dire a nessuno della ferita. Ventiquattr’ore dopo spira con la pipa in bocca. Per dimostrare a tutti d’aver premeditato il proprio suicidio. Ѐ il 29 luglio del 1890. Van Gogh ha appena trentasette anni. Una vita breve in cui si condensa di tutto: la sua grande bontà, l’amore di chi l’ha conosciuto, una tristezza estrema e una lucida follia, ma soprattutto la “grandezza del genio”.

Perché lo fece? Le circostanze e le ragioni del suicidio sono rimaste in verità poco chiare. Van Gogh soffriva di disturbi psichici e dall’oppressione della tristezza non riuscì mai a liberarsi: questo è indubbio. Ma aveva coscienza di essere il pittore del futuro. Venuto al mondo con la missione di esprimere arte, fare dell’arte un dogma. Missione che, a trentasette anni, lui ritiene compiuta. Aveva venduto un solo quadro? Non era stato capito? Sarebbe stato il futuro a rendergli giustizia. Renderla al suo grande talento. D’altra parte riteneva un furto il commercio dell’arte.

Nel 1889, durante un soggiorno all’ospedale di Saint-Rémy e dopo tante notti interamente trascorse ad osservare il cielo, realizzò uno dei suoi dipinti più celebri: Notte stellata. In cui, secondo gli esperti, è visibile il contrasto tra l’immobilità della notte e l’energia delle stelle. Al fratello Theo, che non gli fece mai mancare il proprio sostegno morale economico e affettivo, scriveva che nelle sue opere doveva esserci il pensiero, l’anima del modello: il matrimonio di due colori esprimeva l’amore di due innamorati; l’irradiazione del sole calante esprimeva l’ardore umano; e una stella nel cielo la speranza. Per Van Gogh, pur dopo cento anni, i suoi quadri (ut pictura poesis) dovevano conservare intatte queste emozioni originarie.

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