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L’anno scorso pensavamo, con ottimismo, che la Pasqua dell’anno dopo sarebbe stata normale, senza freddo nell’anima. E la solitaria Via Crucis del Papa sotto la pioggia di quei giorni d’aprile, l’universalità del suo messaggio di preghiera e di speranza come il ricordo, maestoso e triste, della pandemia del 2020.

Invece anche la Pasqua appena trascorsa è stata ugualmente fredda. Fredda di auguri e di abbracci, priva di calore umano. E nei mesi in cui la vita e le stagioni, le stagioni della vita, ciclicamente si rinnovano. In cui il buio finisce e il sole riappare. Tutto si rigenera, l’orizzonte del mare e il cielo poeticamente uniti nell’eternità, poeticamente uniti alla dolcezza dorata dei campi estivi.

Passi avanti se ne sono fatti rispetto a un anno fa. Ora si ha fiducia nei vaccini, così velocemente sperimentati. Tuttavia dubbi non ne mancano. Su un vaccino in particolare. Quando sentiamo dire che non c’è “correlazione alcuna” (proprio così) tra le morti sospette e la sua somministrazione qualcosa dentro di noi si ribella. Perché se non si può spiegare scientificamente alcun nesso tra il vaccino e le morti a distanza di poco tempo dalla sua inoculazione, così (credo) non si può spiegare l’esatto contrario. E non basta certo il basso dato statistico della mortalità a dimostrarlo: poche morti non fanno statistica ma sempre di persone che perdono la vita si tratta. Bisogna tenerne conto. Essere anime sentinelle. Il mondo scientifico soprattutto usi parole di rassicurazione  e di fiducia. Ma anche parole che non chiudano le porte alla prudenza e al dubbio.

Gaetano Cellura