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di Gaetano Cellura  La Sicilia era ed è stata sino alle ultime elezioni il suo granaio. Nei sicuri collegi dell’Isola sono state elette almeno tre candidate paracadutate dal Nord. Ciononostante, dopo trent’anni, Forza Italia governa la regione solo oggi. Con Schifani. Il suo dominio, o meglio quello del suo leader e padrone, s’imponeva nelle elezioni politiche. Quando i siciliani votavano lui direttamente (gli altri candidati non contavano nulla): Silvio Berlusconi, il self made man, l’uomo del fare e del sogno, colui che avrebbe portato il ponte e che prometteva di tutto e di più senza realizzare nulla. Forza Italia occupava, anche in Sicilia, lo spazio politico del pentapartito, di un moderatismo che in fondo non chiedeva altro che la tutela dei propri interessi e un cambiamento apparente, gattopardesco. Ѐ stata la regione del 61 a zero. La regione che mai ha voltato le spalle al Cavaliere di Arcore. E sempre si è fidata di lui, sebbene le promesse rimanessero tali.

Anche la nostra città si è fidata di lui. L’onorevole Giuseppe Amato è stato eletto due volte nel nostro collegio. E non sono mancati ministri siciliani nei governi di centrodestra. Da questo punto di vista, Berlusconi è stato riconoscente all’Isola. Meno forte Forza Italia si è dimostrata – in Sicilia e, per quel che ci riguarda, a Licata e nella provincia di Agrigento – nelle elezioni territoriali. Alla provincia ha vinto due volte, con il dottore Vincenzo Fontana. E a Licata non ha mai espresso un suo sindaco. L’unica volta che, in qualche modo, vi è riuscita, è stata nel 1998. Allorché l’onorevole Amato ebbe l’intuizione di sostenere Giovanni Saito, che correva però come candidato di Alleanza Nazionale. Lo stesso Angelo Balsamo, attuale sindaco, transitato anche lui in alcuni momenti per Forza Italia, ha vinto due volte più come candidato civico che di partito.

Questo, a mio avviso, denota due cose. La prima è di non essersi data Forza Italia una classe dirigente; e la seconda è che partiti più strutturati, più legati fisicamente al territorio, facevano valere la loro presenza sfruttando il vecchio modo (democristiano) di fare politica quando erano in gioco la presidenza della Provincia e soprattutto il governo della Regione.

Del partito di Berlusconi a Licata ricordo alcune cose: il suo primo Circolo all’inizio di corso Serrovira, i suoi primi dirigenti e tesserati che cercavano gente “nuova” da candidare; il suo primo candidato sindaco, che non arriva al ballottaggio nel 1994; il suo primo candidato alla presidenza della provincia, lo stesso anno, l’avvocato Russello, ribaltato al ballottaggio dal progressista Stefano Vivacqua.

E ricordo nel complesso un partito di pochi liberali (uno o due) mentre Berlusconi prometteva la rivoluzione liberale. C’era tra le sue fila e i suoi elettori qualche socialista risentito dalla fine toccata a Craxi e molti ex democristiani e orfani del pentapartito.

Ieri ho ascoltato l’intervista al dottor Amato. Lui non ha dubbi che Forza Italia finisca con Berlusconi. Nessuno è in grado di raccoglierne l’eredità. Era un partito personale, d’altra parte. Come lo era in Francia il gollismo. Che aveva però le sue radici nella resistenza francese non nel partito azienda vissuto di televisione e culto dell’immagine. E Berlusconi non era né De Gaulle né Chirac. Su questo, nel giorno della divisione per il lutto nazionale, credo che saremo almeno tutti d’accordo.