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Cosa vuole davvero Putin? Vuole tutta l’Ucraina di cui dovrebbe accollarsi la ricostruzione? Ne vuole solo una parte, quella dal 2014 più contesa e guerreggiata (anche per il mancato rispetto, da ambo le parti in conflitto, degli accordi di Minsk)?

In realtà di domande potremmo porne ad infinitum. E soprattutto – la cosa che più ci assilla – domande sulla durata di questa guerra insensata, giunta al suo ventiquattresimo giorno di devastazioni e di crimini contro l’umanità, senza  intravederne ancora la fine.

Ma limitiamoci a considerare due aspetti apparentemente secondari. E uso l’avverbio “apparentemente” per una semplice ragione: per la ragione che propaganda e menzogne, il linguaggio che le adorna di verità, e l’uso strumentale della storia cui ricorre soprattutto l’attuale padrone del Cremlino, risultano poi, e a ben vedere, elementi tutt’altro che di secondo piano nella genesi dei conflitti, di quello tra Russia e Ucraina in particolare, e per una loro (appunto!) distorta giustificazione storica e geopolitica.

Abbiamo sentito parole come denazificazione dell’Ucraina e come “operazione speciale militare”. Quest’ultima espressione in luogo della parola guerra. Abbiamo sentito parlare di comuni radici tra le due nazioni in guerra, che ne costituirebbero addirittura una sola. Una sola nazione. L’Ucraina altro non sarebbe che un’invenzione di Lenin dopo la rivoluzione bolscevica. E così è, per quel poco di cui siamo a conoscenza. Ma è pur vero che nei secoli i popoli – stiamo parlando di popoli di territori sterminati, come quello dell’Ucraina e ancora di più come quello della Russia, nazione che non ha mai smesso di ritenersi un impero – sviluppano identità e caratteristiche differenziate sul piano culturale, linguistico e confessionale e a queste restano fedeli come modello distintivo. E questo modello riferito all’Ucraina sembra oggi guardare più all’Occidente che al mondo russo. Il che rende, ai fini della guerra,  strumentale e in buona parte anche contraddittoria la ragione storica delle radici comuni propugnata da Putin. Altra contraddizione nel ragionamento del capo del Cremlino è il rimpianto dell’Urss con la dimenticanza che proprio il tanto da lui criticato Lenin portava avanti una politica di autodeterminazione delle nazioni nell’Unione Sovietica. Quanto poi all’ “operazione speciale militare” per sostituire la parola guerra, essa altro non vuole essere che un modo di giustificare l’invasione dell’Ucraina non per farle guerra, ma per liberarla da un governo fantoccio sostenuto da forze neonaziste responsabili di genocidio nelle repubbliche del Donbass. L’esistenza di queste ultime forze è reale, ma è anche vero che si tratta sul piano politico di frange riunite nel partito Svoboda con un consenso popolare irrilevante come hanno dimostrato le elezioni. Tra nuovi artifici verbali e un uso distorto della storia intanto la guerra va avanti. Come tutte le guerre fatta, secondo un detto attribuito a Neruda, da persone che si uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si uccidono.

Gaetano Cellura