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Sono passati tanti anni, l’anno prossimo ne ricorrerà il centenario, ma nessun ucraino ha dimenticato l’Holodomor, l’uccisione per fame. Perché ognuno ha perduto un nonno, un padre, uno zio in quell’immane tragedia. Poco conosciuta rispetto ai gulag e alle purghe staliniane. Come poco conosciuto è Ulas Samchuk che quel massacro ha raccontato nel romanzo Maria. Cronaca di una vita.

Samchuk è un autore della diaspora (morì a Toronto nel 1987) finito nel mirino dello stalinismo e del fascismo. Ha visto zar, re, imperatori e dittatori. Ha visto due guerre mondiali e ha conosciuto la prigionia, i campi di concentramento e l’esilio, “l’eterno esilio”. Ѐ stato testimone della fame del 1932-33 di cui fece le spese l’identità stessa del popolo dell’Ucraina. Dell’Ucraina granaio d’Europa. Prima la ribellione del suo popolo alle decisioni di Lenin. Poi al Piano quinquennale di Stalin, all’industrializzazione forzata e alla collettivizzazione agricola. Che comportò, sin dall’inizio degli anni Trenta, la deportazione di quanti vi si opposero. I riferimenti storici sono utili per comprendere la resistenza degli ucraini all’invasione decisa da Putin.

La storia di Maria, protagonista del romanzo di Samchuk, viene raccontata dall’infanzia fino alla morte per fame in un villaggio rurale. Ai contadini dell’Ucraina veniva chiesto di ammassare i raccolti di grano e di consegnarli forzatamente agli attivisti comunisti. Chi si rifiutava, nascondeva le provviste o (per la fame) ricorreva ai furti di grano veniva immediatamente deportato. Singolare fu la sparizione della campana del monastero di uno dei villaggi. Quella campana suonava da tanti secoli. E di anno in anno salutava l’arrivo della primavera, “con i fiori, il sole e il canto degli usignoli”.  Un giorno i contadini non riconobbero più il loro villaggio: non solo il grano, i comunisti avevano portato via pure la secolare campana. Stalin requisiva anche il metallo, la cui fusione era necessaria per l’industrializzazione dell’Urss.

“Fratelli, ci hanno fregati! Difendiamoci!”– gridò uno dei contadini. Ma anche le pistole si erano arrugginite. Vennero a prenderlo, lo calpestarono e lo portarono lontano. Molto lontano. Lo portarono “dove c’era tanta neve e tanto gelo e dove ululavano gli orsi bianchi”. Aveva figli quel contadino dalle mani callose. Figli che chiedevano, piangendo, del loro papà. “Non c’è – rispondeva la madre – l’hanno portato via”.

Samchuk racconta l’Holodomor senza trascurare o dimenticare nulla. La legge “delle cinque spighe”: averne una di più voleva dire fucilazione. Racconta gli episodi di cannibalismo nei villaggi dell’Ucraina, per sopravvivere. Villaggi dai quali ogni via di fuga era impedita. Una carestia, una morte per fame organizzata dal regime sovietico. E quel che Samchuk racconta viene confermato da altri testimoni oculari di quell’orrore: dal console italiano di quel tempo a Charkhiv e dai reportage di due giornalisti inglesi. Non certo dai Viaggi in Russia degli scrittori occidentali ideologizzati che glorificavano l’Unione Sovietica e che credevano alla sua falsa propaganda su quell’eccidio. Morti per malattie causate dalla denutrizione: questa fu la falsa verità raccontata al mondo. Non quella – vera – di un genocidio per fame organizzato. Tra le ragioni vicine e lontane dell’attuale resistenza dell’Ucraina c’è anche questa storia. Il sordo rancore di un popolo per i tanti soprusi del passato sovietico. E per un’invasione ordinata da un dittatore che dei cascami di quel passato è erede.

Gaetano Cellura