Non poteva finire in altro modo, per alcune ragioni. Una l’abbiamo già detta. Il Pd, erede della vecchia sinistra, sa di essere a Licata storicamente debole e perdente se corre da solo o con alleanze di centrosinistra. L’altra è la sua mutata natura. Il partito renziano è ormai strutturalmente (e idealmente) moderato. Ha sposato il programma di Confindustria: la sua politica del lavoro è palesemente di destra: la sua nuova classe dirigente nazionale non ha più alcun legame con la tradizione della sinistra italiana: in Sicilia (e non solo in Sicilia) è diventato centro di pronta accoglienza per ex appartenenti alla variegata area del centrodestra ora attratti dal nuovo potere e da chi lo detiene.
Logica dunque per il Partito democratico, anche a Licata, e per le prossime elezioni comunali, l’alleanza con altre forze della sua stessa (ormai mutata) natura. Cioè con forze dell’area moderata. Vastissima in città e oggi divisa. Ma quasi sempre, e a turno, alla fine predominante. Insomma, di moderati a Licata ce ne sono tanti (poteva andare con questi o con quelli) che il Partito democratico aveva solo l’imbarazzo della scelta. Scelta che ha già fatto sostenendo il dottor Pino Galanti come candidato sindaco.
Si sa qual è l’obiezione. Nelle elezioni per il sindaco i cittadini se ne fregano di formule, ideologie e alleanze politiche. E votano le persone che più stimano e le più capaci di rappresentare progetti innovativi. Ma mettiamoci nei panni di chi ragiona sempre, anche per quanto riguarda le elezioni locali, seguendo il superato schema destra-sinistra. A questi cittadini (e non sappiamo quanti ancora siano), orgogliosi del partito identitario, non resterebbe che Mantia. Il solo purtroppo rimasto a sinistra.
Gaetano Cellura