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di Gaetano Cellura Era l’esponente di punta dell’editoria romana degli anni Trenta e la penna migliore del giornalismo fascista. Telesio Interlandi (nato a Chiaramonte Gulfi, in Sicilia, nel 1894, morto a Roma nel 1965) dirigeva Il Tevere, quotidiano estremista; due settimanali: Il Tifone e Il Quadrivio – uno sportivo, l’altro culturale; e il quindicinale antisemita La difesa della razza. La cui imminente nascita venne annunciata dall’Agenzia Stefani. Notizia che Interlandi così commentò: “Vorrei sapere chi sarà quel cretino chiamato a dirigerla”. Sarebbe stato lui il cretino. Lui che in realtà temeva che qualcun altro gli soffiasse il posto. Ma Mussolini lo teneva in alta considerazione: e non aveva esitato a sceglierlo. Interlandi godeva anche della stima di Ciano. Presso cui intervenne per far rientrare Curzio Malaparte dal confino. Tra i bersagli del suo Tevere c’era un altro siciliano di tre anni più vecchio di lui: il professore Luigi Russo, di Delia (provincia di Caltanissetta), che insegnò letteratura italiana al Magistero di Firenze e all’Università di Pisa. Probabilmente questi due siciliani avevano in comune solo la partecipazione alla Prima guerra mondiale. E gli attacchi a mezzo stampa che Interlandi gli sferrava.

Critico e accademico, e di ben altra statura intellettuale rispetto al giornalista suo corregionale, il Russo in un primo momento era rimasto positivamente impressionato dal fascismo. Nel quale vedeva l’antidoto alla vecchia Italia “sonnolenta, pigra, arrivista, compiaciuta di vivere senza infamia e senza lode”. Tanto impressionato da provare a convincere l’amico Adolfo Omodeo, anche lui docente universitario, anche lui siciliano, a non avere nei confronti del fascismo alcuna diffidenza. Entrambi saranno tuttavia costretti, per non perdere la cattedra,“a ingoiare il rospo” del giuramento di fedeltà al regime.

Maestro di cultura, studioso del Verga che definì “poeta povero e primitivo”, Luigi Russo vide presto deluse dal fascismo le sue aspettative. E arrivato per lui il momento della scelta tra i suoi maestri, Croce e Gentile, si schierò con il primo. Un articolo critico sul libro dello storico (nazionalista e fascista) Gioacchino Volpe: Ottobre 1917, dall’Isonzo al Piave e un saggio sul Machiavelli in cui dà dell’autore del Principe una rappresentazione difforme da quella del regime gli costarono altre antipatie e soprattutto l’allontanamento dalla rivista Leonardo, che dirigeva. Agli attacchi alla sua persona da parte del Tevere di Interlandi si aggiunsero quelli del Bargello, l’organo della federazione fiorentina del fascismo.

Fautore del razzismo biologico fin dal 1934, Telesio Interlandi conduceva con i suoi giornali una forte campagna antisemita. Al quindicinale La difesa della razza affiancò il libello Contra Judaeos. Correva voce, e corre ancora tra gli storici, che fosse il nazismo a finanziare, più del fascismo, le sue campagne giornalistiche. Caduto il regime, il giornalista di origini siciliane venne arrestato come “fascista fanatico e pericoloso”. La sede del Tevere presa d’assalto e devastata. Ma la Corte d’Appello di Roma lo risarcirà con un indennizzo di 15 milioni. Perché i giornali di Interlandi dal ’43 in poi e nell’Italia democratica non si potevano più pubblicare e avevano perduto ogni valore politico, ma l’azienda editoriale avrebbe potuto proseguire la sua attività con un altro proprietario. E anche perché il comune s’era impadronito dei locali ammobiliati in cui aveva sede il giornale, adattandoli a propri uffici, e di tutto il materiale cartaceo trovato. Strana sentenza! La vicenda giudiziaria si concluse nel 1960. E Interlandi, non solo sfuggì all’epurazione, grazie all’amnistia del 1946, ma poté godere anche di un indennizzo che gli permise una vita tranquilla.

Fondatore della rivista Belfagor, il Russo continuò invece sin dal dopoguerra la sua attività di docente e di critico della letteratura italiana, uno dei maggiori e più intransigenti critici del Novecento. Era un uomo allegro ma malato di nostalgia per il paese d’origine dove aveva trascorso l’infanzia. Tutte le volte che tornava a Delia, e sino a due anni prima della morte a Marina di Pietrasanta, riceveva le visite di molti amici. Nel libro Giorni in Versilia, sognando Delia la nipote Lina Dolce racconta il grande critico nei suoi aspetti familiari e intimi, i ricordi cui pareva essere più legato: quelli delle luminarie del paese nei giorni di festa e delle “quartare” (anfore di creta), costruite da un artigiano del luogo ed esposte al sole davanti casa sua. L’antifascismo del Russo era stato “utile e indisturbato”. Indisturbato, se si escludono (ma come escluderli?) gli attacchi di Interlandi.