di Gaetano Cellura In verità – senza bisogno di scrivere Il crollo: i tre articoli sull’Esquire (1936) in cui mise a nudo se stesso, i propri guai, l’essersi ridotto come un piatto crepato – tutta un crollo era visibilmente stata la vita di Francis Scott Fitzgerald: nonostante il successo come romanziere, i soldi guadagnati e dissipati. Perché il fantasma oscuro del fallimento lo inseguiva anche nei momenti della gloria, quando (negli anni Venti) non aveva debiti e la vita e la letteratura gli arridevano e sorridevano. Persino l’amore – suo per Zelda e di Zelda per lui – crollava di giorno in giorno tra la furia dell’alcol di cui Scott non riusciva a fare a meno e la schizofrenia della moglie, le sue allucinazioni, i suoi assalti di panico, il tentato suicidio. Il marito se ne sentiva responsabile: “Ho ucciso la donna che ho messo nel mio libro”. Ma la malattia si nascondeva nell’infanzia di Zelda. Le più costose cliniche e i migliori medici d’Europa e d’America non servirono a curarla. La danza in cui vanamente prova a brillare era desiderio di farsi farfalla e trovare la quiete. Ma per lei, stanca di vivere all’ombra del marito, era troppo tardi per imparare a volare. Anche il marito era stanco. Stanco di essere Scott Fitzgerald. Aveva perso i suoi lettori che, dopo Il grande Gastby (1925), il romanzo americano più sentimentale e poetico, si aspettavano da lui sempre di più.
Tra i suoi tanti pretendenti, Zelda Sayre, la ragazza più bella di Montgomery, aveva scelto Scott perché Scott odorava di “merce nuova”. Si sposarono, ebbero una figlia, Scottie, e andarono incontro al decennio ruggente del nuovo mondo americano: jazz, sesso e soldi. Esuberanza giovanile, piacere orgiastico e successo. Ebbrezza e follia. Una corsa veloce verso il precipizio.
Belli e dannati, apparso nel 1922, è un po’ l’epigrafe della loro vita. Nutrita di sogno, fascino ed effimero. Il sogno d’amore, colossale ed estremo, di Jay Gatsby che vuole ripetere il passato; e il fascino e l’effimero di Tenera è la notte (1934). I coniugi Fitzgerald erano affascinati “dagli istanti e dalle cose che passano”, come feste mondane e ricevimenti. I grandi ricevimenti che Gatsby dava nel suo sfavillante palazzo, al di là della baia, da dove poteva vedere la casa di Daisy, con la luce verde accesa tutta la notte all’estremità del pontile. Il “futuro che anno dopo anno indietreggia davanti a noi, barche controcorrente risospinte senza sosta verso il passato”.
L’amore tra Scott e Zelda non fu più lo stesso ancor prima che la schizofrenia della moglie esplodesse violenta. Forse, come Daisy per Gatsby, anche Zelda non era all’altezza del sogno di Scott. Forse, come l’incolpevole Daisy, anche Zelda non aveva dentro di sé la “quantità di fuoco o di gelo” necessaria per sfidare i fantasmi che si erano accumulati nel cuore del marito. In loro la trama della vita si rivela speculare a quella dei romanzi. Erano belli e dannati.
In Tenera è la notte Dick Dever ripete a Nicole, anche lei schizofrenica, le parole di uno sfinito Fitzgerald alla moglie che gli chiede di aiutarla: “Non posso fare più niente per te. Sto cercando di salvare me stesso”. Ma il romanzo in cui riponeva tutte le sue speranze non gli fece recuperare il successo perduto: travolto dai debiti e confinato a Hollywood, Fitzgerald si mise a scrivere modeste sceneggiature. E Il crollo come bilancio di una vita. Il piatto crepato non era quello che aveva ordinato per i suoi quarantaquattro anni. L’età in cui, per un attacco di cuore, i suoi occhi che grondavano gin, si chiusero per sempre. Era il 1940. Zelda gli sopravvisse otto anni. Ma morì tragicamente. Tra le fiamme dell’ospedale di Asheville dove era ricoverata.
(Il grande Gastby compie cent’anni)