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118politici1-624x300I giudici hanno considerato legittimo l’incremento delle ambulanze. Ma hanno censurato l’assunzione di 512 autisti-soccorritori. “Non c’era alcuna necessità”. Per quattro ex assessori, una pena inferiore di 130 mila euro: quel giorno erano assenti in giunta.

PALERMO – “Logiche clientelari e pressioni lobbystiche”. Sarebbero stati questi i motivi alla base delle assunzioni di 512 autisti-soccorritori delle ambulanze del 118 che avrebbero portato a un danno all’erario di oltre 12 milioni di euro. E alla condanna di 17 politici, tra ex componenti della giunta Cuffaro ed ex membri della commissione Sanità all’Ars.

La Sezione giurisdizionale d’Appello della Corte dei Conti ha così accolto in parte il ricorso della Procura, che aveva contestato ai politici un danno di oltre 37 milioni di euro, per la scelta “inutile e irragionevole” di ampliare il parco ambulanze del 118 e di assumere, contestualmente, nuovi dipendenti. In primo grado, infatti, le accuse della Procura erano state respinte. E i politici “assolti”. Ma l’appello, come detto, ha cambiato le carte in tavola. I magistrati contabili, infatti, hanno confermato la legittimità della scelta degli amministratori di allora di ampliare il numero delle ambulanze. Ma hanno fortemente censurato il ricorso a 512 nuovi autisti-soccorritori. Una decisione giunta senza alcun motivo. Senza, cioè, la presenza di fatti o dati oggettivi che comprovassero la necessità di quelle assunzioni.

Per questo motivo, la richiesta complessiva di risarcimento, rispetto a quella della Procura, è scesa a circa 12 milioni di euro. Una somma da suddivedere “pro-capite” tra i politici. E in particolare tra gli ex componenti della giunta Totò Cuffaro, Innocenzo Leontini, Carmelo Lo Monte, Antonio D’Aquino, Francesco Scoma, Francesco Cascio, Fabio Granata, Michele Cimino, Mario Parlavecchio, Giovanni Pistorio e i componenti dell’allora commissione Sanità dell’Ars: Santi Formica, Nino Dina, Giuseppe Basile, David Costa, Giuseppe Arcidiacono, Giancarlo Confalone, Angelo Stefano Moschetto.

A dire il vero la quota “pro capite” scende di circa 130 mila euro (da 730 a 599 mila) per Leontini, Lo Monte, Granata e Cimino. Il motivo? I quattro politici erano assenti in occasione di una delle giunte di governo in cui si è deliberata una seconda tranche di assunzioni. Mai assenza in giunta fu più “propizia”.

La Sezione d’Appello, però, come detto, ha respinto in parte la richiesta della Procura che parlava di inutile ampliamento del parco ambulanze (cresciute tra il 2005 e il 2006 di 99 unità). “Non può assolutamente dubitarsi – scrivono i giudici – che il parco ambulanze operativo in Sicilia sino al 2005 nell’ambito del “S.U.E.S. 118” fosse notevolmente sottodimensionato e, quindi, obiettivamente inadeguato a soddisfare le crescenti esigenze della popolazione dell’Isola”. E per confermare questa idea, i magistrati fanno riferimento ancha una relazione del Ministero della Salute, secondo cui il rapporto tra ambulanze e popolazione, in Sicilia, era tra il più basso d’Italia. Pertanto, l’incremento delle vetture viene considerato dalla Corte “rispondente ad effettive ed ineludibili esigenze della collettività”. Esigenze confermate, del resto, dagli assessori alla Salute che si sono succeduti.

Quello che non torna, invece, è la scelta di aumentare da 10 a 12 il numero degli autisti-soccorritori addetti per 24 ore a ciascuna delle 256 ambulanze. Quello che non torna, insomma, è l’assunzione dei nuovi dipendenti, da scegliere tra quanti hanno ottenuto la certificazione da un corso di Formazione del Ciapi, ente ormai privo dell’accredimento e finito sotto inchiesta, o tra gli interinali di Seus. Insomma, quell’incremento del personale, scrivono i giudici, deve considerarsi “privo di qualsiasi concreta giustificazione giuridicamente apprezzabile, e quindi foriero di danno erariale. Tale implementazione del personale addetto alle postazioni del “S.U.E.S. 118”, per un totale di 512 nuove unità di autisti-soccorritori, – si legge nella sentenza – risulta, infatti, essere stata autorizzata senza che, all’epoca, fosse mai stata obiettivamente riscontrata né segnalata da alcuno una qualsiasi plausibile esigenza organizzativa e/o funzionale del Servizio”. E i magistrati rincarano la dose: “Non v’era alcun elemento oggettivo che potesse far ritenere inadeguata tale cospicua dotazione di personale né, d’altro canto, risultava che si fossero mai verificati disservizi od anche soltanto transitorie difficoltà operative”.

Fatti da cui non possono essere ritenuti “esenti da colpe” nemmeno gli allora componenti della Commissione parlamentare, che avevano rivendicato il diritto, sancito dall’articolo 6 dello Statuto dell’insindacabilità dei voti e delle opinioni espresse dai deputati nell’esercizio delle loro funzioni. Secondo i giudici, infatti, l’attività della Commissione, è andata oltre la “’funzione di controllo e di direzione (lato sensu) politica’, rientranti nell’alveo dell’insindacabilità”, visto che, attraverso la presentazione e l’approvazione di specifici emendamenti, la commissione “ha preso parte al procedimento amministrativo finalizzato alla definizione delle modalità di gestione di un servizio pubblico”. Così, ecco le condanne anche per i deputati. Dodici milioni “pro quota”. Tranne per i quattro che, “bucando” una giunta, hanno risparmiato oltre centomila euro.

 

fonte: livesicilia.it