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rosa1Il ricordo è netto. Le date un po’ meno. Fine anni ’80. Festa del Santo Patrono Sant’Angelo; maggio o agosto. Un misero palchetto in Piazza Sant’Angelo con una sola lampadina ad illuminarlo ed un piccolo amplificatore. Cantante che si deve esibire: Rosa Balistreri. Sale sul palco e prima di iniziare il concerto dice due parole che riporto come le ricordo: “Vedete come mi accoglie la mia città? Ma io canto lo stesso. Quando morirò mi piangerete“: Rosa, da donna battagliera, tenne il suo concerto alla presenza di non molte persone. Con quello che aveva passato nella sua vita queste cose, per lei, erano quisquiglie. Diciamoci la verità: Rosa non era amata dai suoi contemporanei. Si cercava sempre qualcosa per denigrala. Non era amata forse perché le sue canzoni ricordavano la fame, il dolore, i soprusi che avevano provato e quando si raggiunge un certo grado di benessere si vogliono seppellire per sempre le pene sofferte. Ed anche il ricordo. Dalla sua morte è tutto un proliferare di ricordi, libri, tributi, premi, concerti, festival, films, documentari, che ricordano la sua figura e la sua arte. Sì, perché Rosa era un’artista e la sua voce ancora oggi genera profonde emozioni; voce che sembra provenire dalle viscere della terra e colpisce direttamente la pancia di chi l’ascolta. Era una vera artista, e come tutti i veri artisti non compresa dalla sua epoca. Era avanti. Ci sono voluti anni per capire lo spessore della sua arte. Fu anche cattiva profeta perché nella sua ingenua consapevolezza previde quanto sarebbe successo. Se ne andò in un giorno di settembre. Mi piace ricordarla con il testo di una sua canzone dove esorta Sant’Agata a far calare il sole per pietà verso i “iurnatari” bocconi a lavorare la terra per sedici ore. E speriamo anche che passi presto questa afa settembrina.

Sebastiano Federico