In Italia finiva la dittatura, il ventennio nero. L’avevano travolta i ripetuti rovesci militari, le sorti della guerra che volgevano a favore degli Alleati, il malcontento che prendeva piede nel paese, le gelosie intestine e la congiura finale. L’invasione della Sicilia, avvenuta il 10 di quello stesso mese fatale, e il bombardamento di Roma ne accelerarono la caduta.
Prima dello sbarco a Licata c’era stata la resa di Pantelleria, cui era seguito il discorso del bagnasciuga pronunciato da Mussolini: “Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della Patria, 46 milioni di italiani – meno trascurabili scorie – sono in potenza e in atto 46 milioni di combattenti che credono nella vittoria, perché credono nella forza della Patria”. Parole inutili, ormai fuori dal tempo. E rivolte a
Scrive Denis Mack Smith: “Mussolini aveva pervertito il carattere nazionale, involgarito la lingua e minato in genere la fiducia del paese in se stesso. Per venti anni egli aveva educato il popolo al servilismo e alla corruzione, e ora, a coronamento di tutto ciò, si accingeva a dividere la nazione in una inutile e orrenda guerra civile. Ci volle molto più delle grida di gioia e delle luminarie di quella fatidica domenica di luglio del 1943 per portar rimedio a questi danni incalcolabili”.
Gaetano Cellura