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A00086895Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio del fascismo sfiduciava Benito Mussolini. Diciannove voti contro sette. Tra coloro che gli voltarono le spalle c’era suo genero Galeazzo Ciano. Era il segnale che il Re attendeva. Alle 6 del mattino del 25 luglio Vittorio Emanuele III nomina Badoglio presidente del Consiglio e nel pomeriggio ordina ai carabinieri di arrestare Mussolini.

In Italia finiva la dittatura, il ventennio nero. L’avevano travolta i ripetuti rovesci militari, le sorti della guerra che volgevano a favore degli Alleati, il malcontento che prendeva piede nel paese, le gelosie intestine e la congiura finale. L’invasione della Sicilia, avvenuta il 10 di quello stesso mese fatale, e il bombardamento di Roma ne accelerarono la caduta.

Prima dello sbarco a Licata c’era stata la resa di Pantelleria, cui era seguito il discorso del bagnasciuga pronunciato da Mussolini: “Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della Patria, 46 milioni di italiani – meno trascurabili scorie – sono in potenza e in atto 46 milioni di combattenti che credono nella vittoria, perché credono nella forza della Patria”. Parole inutili, ormai fuori dal tempo. E rivolte a re-duceun’Italia stremata che forse avverte, comincia ad avvertire quel bisogno di libertà, di risveglio dal ventennale letargo di cui mai aveva dato segno negli anni e nei mesi precedenti.

Scrive Denis Mack Smith: “Mussolini aveva pervertito il carattere nazionale, involgarito la lingua e minato in genere la fiducia del paese in se stesso. Per venti anni egli aveva educato il popolo al servilismo e alla corruzione, e ora, a coronamento di tutto ciò, si accingeva a dividere la nazione in una inutile e orrenda guerra civile. Ci volle molto più delle grida di gioia e delle luminarie di quella fatidica domenica di luglio del 1943 per portar rimedio a questi danni incalcolabili”.

Gaetano Cellura