Se il sindacato avesse avuto l’infelice idea di organizzare una manifestazione a Licata, come avveniva tanti anni fa e come ancor oggi avviene in qualche grande città, avrebbe trovato la piazza deserta. Perché in realtà non c’è proprio nulla da festeggiare e perché nessuno ha più voglia di protestare per il lavoro perduto, per il lavoro finito, e contro una città, una regione, un paese in cui è pure diventato inutile cercarlo. Se lo trovi, è precario e senza diritti. Sottopagato e sotto il ricatto di perderlo se solo osi chiedere qualche diritto minimo. E con orari massacranti. Gli stessi che venivano, ancora vengono imposti agli extracomunitari. Il segno più evidente che le disuguaglianze sono aumentate, la povertà riguarda tutti, chi non ha un reddito e chi ce l’ha ma se lo vede interamente portato via dalle tasse. Tutti siamo diventati extracomunitari nell’Europa dell’austerità e del rigore economico, delle banche che non concedono prestiti alle imprese asfissiate dalla crisi. Tutti siamo poveri grazie alle politiche di questi anni che hanno salvato le grandi banche e penalizzato il lavoro, l’economia e che hanno reso i ricchi più ricchi allargando il divario delle ingiustizie e delle disuguaglianze sociali. Guardiamo le statistiche in questo primo maggio di rassegnazione al peggio piuttosto che di festa: tre milioni di senza lavoro, il 38 per cento di disoccupazione giovanile, 70 mila donne tornate a fare le casalinghe. Una condizione sociale disperata. E di fronte a tutto questo nessuno scenario di ripresa, nessuna idea politica seria, un governo debole già diviso sull’IMU e un altrettanto debole sindacato soggetto di rappresentanza di soli lavoratori anziani e di pensionati. Dov’è la festa, dunque? Siamo al punto che bisognerebbe abolire anche i tradizionali concerti del primo maggio. Il lavoro è morto: i lavoratori offesi nella dignità: nell’onore e nella carne viva: poveri angeli feriti del mondo d’oggi e si canta e si suona? Con quale animo si festeggia, si può festeggiare? A Licata il Primo Maggio viene ignorato da molto tempo. Era prima molto sentito, ma bisogna andare agli anni cinquanta, sessanta e settanta. Quando la lotta sindacale ancora pagava, la democrazia e gli ideali erano più forti e sentiti, e manifestare aveva un senso. L’ultima festa si fece nella prima metà degli anni ottanta: organizzata dalla Camera del lavoro, la cui sede era allora in corso Umberto, con l’esposizione di manifesti pacifisti. Erano gli anni dei missili a Comiso. Altri tempi. Altra storia. Altra politica. Altro sindacato.
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