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Non si capisce ancora se al ballottaggio di domani tra Bersani e Renzi, per la scelta del candidato premier del centrosinistra, potranno partecipare tutti o solo i votanti del primo turno. Prevarranno le regole, peraltro poco chiare a sentire i rappresentanti degli opposti schieramenti, o la libera partecipazione dei cittadini determinati a esprimere il proprio consenso nella seconda fase? Di certo c’è solo – ma questo è un dato politico e non burocratico – che il Pd e il suo segretario hanno deciso di mettersi in gioco, di non temere il voto popolare. Potevano non farlo, statuto alla mano. Il Partito democratico si dimostra una struttura aperta che delega alla partecipazione dei cittadini, abbastanza significativa già nel primo turno di domenica scorsa, l’indicazione del futuro presidente del consiglio e della classe dirigente della coalizione del centrosinistra. E non è poco, anzi è la grande novità, nell’era dell’antipolitica e dei partiti padronali. Restano alcuni nodi politici da sciogliere. Nodi che il dibattito non ha affrontato. E cioè la certezza assoluta che tutta la passione politica di questi giorni, mostrata da iscritti e militanti del centrosinistra, ma anche da cittadini provenienti da altre aree politiche, non cada nel vuoto. La certezza della fine del governo dei tecnici, dopo le elezioni di primavera, e del ritorno della politica e del bipolarismo; l’impegno per una legge elettorale che premia chi vince, senza più inciuci e maggioranze numeriche come in quest’ultimo anno. E una certa autocritica da parte di entrambi i finalisti, nei comizi di quest’ultimo giorno di campagna elettorale, per aver poco parlato di lotta alla mafia e leggi anticorruzione, di lavoro e politiche industriali, di tutela del sistema della sanità pubblica.

(g.c.)