di Gaetano Cellura – Lo ricordiamo non perché sono passati cinquant’anni dalla sua morte tragica, da quel 2 Novembre del 1975 in cui il suo corpo, straziato, venne ritrovato al lido di Ostia. Ma perché, cinquant’anni dopo, Pasolini ha ancora tanto da dirci. Sul fascismo e sul consumismo degli italiani, sul potere come universo orrendo e principio del dominio.
Intellettuale poliedrico (poeta, narratore, regista cinematografico, polemista politico), Pasolini è stato una miniera di idee forti e di posizioni estreme: la sua opposizione al sistema capitalistico una delle più radicali dell’Occidente. Era omosessuale e comunista. Intendeva il comunismo come un ideale umanitario. Si autodefiniva un marxista che vota Pci. Riteneva formale la democrazia antifascista. Quella del suo tempo, dei suoi articoli sul Corriere della Sera di Piero Ottone. Figuriamoci cosa direbbe della democrazia di oggi.
Un articolo è poco per il tanto che di lui va detto. L’autore de Le Ceneri di Gramsci rimpiangeva l’Italia agricola e rurale cui l’industrializzazione era stata imposta. Ma più che rimpianto, la sua era una difesa di quel patrimonio contadino di cui il paese nuovo del boom economico non sapeva fare storia e di cui non aveva saputo conservare i valori veri, quei valori prima necessari e ora superflui. Nulla di reazionario in tutto questo. Pasolini ce l’aveva con l’omologazione degli italiani: al potere senza volto del consumismo come al divorzio, all’aborto, all’amore libero, all’inquinamento che è stato causa della scomparsa delle lucciole .
Ma non fu capito e soffriva di essere considerato un nostalgico. Ci avvertiva invece della differenza tra bene necessario e bene superfluo, tra bisogno e piacere, tra anànke e edoné; e della frattura profonda che il brusco cambiamento aveva aperto nella società italiana.
“In questo mondo colpevole che solo compra e disprezza,/il più colpevole son io, inaridito dall’amarezza”. Amarezza per il modo clerico-fascista con cui era governato un paese che all’improvviso conosceva nuovi modi di produzione, nuove merci, nuova umanità. E senza aver conosciuto alcun processo di unificazione: né durante la rivoluzione borghese né durante quella industriale.
Pasolini ci parlava con voce profetica del telos verso cui non solo l’Italia ma il mondo erano avviati. Verso quella tecnocrazia che si è impadronita dell’uomo e anche della sua anima. Per questo è ancora attuale.







