Orhan Pamuk si riferisce soprattutto al filo spinato che demarca i confini e ora anche agli eserciti schierati contro gli “invasori”. Ma allarga il discorso ai muri che ognuno incontra nella vita, alle difficoltà di realizzare aspirazioni proprie, ambizioni e sogni. Al muro che contro di noi alzano i nostri nemici. Anche questo bisogna far finta che non ci sia, non esista. E tirare avanti.
Naturalmente lo scrittore turco (Premio Nobel per la letteratura nel 2006) parla anche della Sicilia. Conosciuta solo attraverso Pirandello, Sciascia e Verga. E che ora vuol conoscere visivamente, materialmente. Conoscere Palermo, soprattutto.
Benché “impegnati” e comunque più sensibili di altri a certi problemi per indole e cultura, non spetta agli scrittori dare le soluzioni. Pamuk ha detto a Taormina che “tutti possiamo essere tutti”, che le identità contrarie possono convivere, che non bisogna pensare al bene e al male in opposizione. È la più grande lezione di Dostoevskij. Ma l’abbiamo imparata?
Lui, Pamuk, si è schierato contro le persecuzioni. È uno scrittore che prima ha rifiutato il riconoscimento di “Artista di Stato” per evitare ogni forma di coinvolgimento politico con la presidenza della repubblica del suo paese e che poi, a Francoforte, nel 2008, alla Fiera del Libro, ha denunciato la censura e la persecuzione degli scrittori in Turchia alla presenza proprio del suo Presidente.
Il Museo dell’innocenza, il primo romanzo che ha scritto dopo aver ricevuto il Nobel, ha vari aspetti. Varie allusioni ha l’innocenza del titolo. Dal sesso visto come peccato nel mondo islamico prima del matrimonio, alla semplicità e al candore dei ceti bassi di fronte al potere e al denaro, e al potere del denaro.
La povertà era considerata una colpa dalla cultura occidentale negli anni Cinquanta e Sessanta. Una colpa di cui si poteva essere perdonati se si diventava ricchi.
Anche ora è così. Quale altra colpa hanno queste masse di profughi respinti se non quella di essere poveri e di voler vivere lontano dalle guerre?
Ma non sembra esserci speranza di perdono per loro. È uno di quei momenti, nella storia del mondo, un momento di cui ignoriamo la durata, il tempo, in cui uno scrittore deve avere il coraggio di dire l’indicibile. Orhan Pamuk questo coraggio, di cui è priva purtroppo la politica europea, per quel che lo riguarda l’ha già dimostrato.
Gaetano Cellura
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