di Gaetano Cellura Dopo quella dell’acqua potrebbe scoppiare a Licata un’altra emergenza estiva. Arrivano notizie tutt’altro che rassicuranti dal San Giacomo d’Altopasso. Assoluta carenza di medici, reparti accorpati, numero di ricoverati sensibilmente inferiore allo standard mensile.
Le domande sono sempre le stesse. E le abbiamo poste più volte. Cosa vogliamo farne dell’Ospedale? O meglio: cosa vuol farne l’Asp di Agrigento? Ridurlo a semplice pronto soccorso? E il governo regionale cosa dice? Intende sempre più limitare il diritto dei cittadini agli interventi chirurgici, alle cure e all’assistenza nelle aree decentrate?
Se è così, non possiamo tollerarlo. Come cittadini della fascia meridionale della Sicilia e come classe politica di territori in pieno abbandono. Senza acqua potabile (turni di erogazione fino a diciotto giorni) e con intere produzioni agricole al collasso. Per la siccità e per il malgoverno di dighe e bacini vari, acquedotti e reti idriche.
Fare un po’ di storia forse non serve. Ma vale lo stesso la pena ricordare le grandi aspettative giustamente suscitate, nel 1978, dall’entrata in funzione del nuovo ospedale di contrada Cannavecchia. Erano i tempi del sistema sanitario nazionale che tutti ci invidiavano. Prima che le regioni creassero i veri sconquassi. Una struttura già moderna cui non mancava nulla. E che ha visto sì nascere servizi nuovi, ma anche perderli nel tempo. Sino a vedersi privata, come ora, di notevoli risorse professionali e di ritrovarsi con equipe mediche incomplete.
L’impressione – più di un’impressione in realtà – è che l’obiettivo precipuo sia quello di accentrare tutto sull’ospedale del capoluogo, il San Giovanni di Dio. Riducendo a semplici pronto soccorso gli altri presidi del territorio. E per questo crediamo sia necessario che i sindaci e i consigli comunali dei territori penalizzati (o in procinto di esserlo), insieme ai cittadini, si uniscano per rivendicare diritti e bisogni. Essere resistenti e non resilienti di fronte ai colpi – sempre più brutali – delle politiche liberiste di questo nostro “tempo di carenza”. Carenza politica, culturale, spirituale, umana.
Con l’arrivo di turisti e dei nostri emigrati più cresce a Licata il bisogno di acqua e di assistenza medica. La crisi idrica ci ha trovato impreparati ed è diventata emergenza (non solo per noi). Facciamo in modo, la classe politica licatese faccia in modo – anzi, lo pretenda: dall’Asp come dall’assessore regionale alla sanità – di non doverne vivere un’altra di emergenza tra luglio e agosto: quella della carenza di personale medico nei reparti ospedalieri.