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Vogliamo ricordare nel giorno del decesso tre momenti della lunga vita di Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica, il primo a ricoprire per due volte la  suprema carica dello Stato. Nel 1956 – primo momento – sostenne la linea del partito a favore dell’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica. E avrebbe al contrario potuto scegliere quella della Cgil di Giuseppe Di Vittorio o  quell’altra, ancora più radicale, di Antonio Giolitti, che abbandonò il Pci. Citiamo  questo fatto perché Napolitano ebbe modo di rivedere in seguito la sua posizione e di fare autocritica.
Il secondo momento riguarda il suo silenzio durante la vicenda di Tangentopoli. Era allora presidente della Camera. E Craxi si aspettava molto da lui quando denunciò, come fatto di sistema, il finanziamento illecito della politica. Celebri sono rimaste le parole del leader socialista durante la testimonianza al processo Cusani: “Come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli Esteri del PCI e aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e
amministratori del PCI e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”
Infine, il terzo momento. Allorché, intercettato “incidentalmente” dalla Procura di Palermo, nel corso dell’inchiesta sulla Trattativa, si avvalse delle sue prerogative di Capo dello Stato e pretese la distruzione della conversazione telefonica con Nicola Mancino. Perché non renderla pubblica se non aveva quella conversazione nulla di penalmente rilevante? Perché non fugare ogni dubbio – fondato o meno – che poteva nascere nell’opinione pubblica?
Tanto altro ci sarebbe naturalmente da dire sulla lunghissima biografia politica di Giorgio Napolitano. Ma questi suoi tre momenti sembrano quelli, sul piano storico, meritevoli di un maggiore approfondimento.

G.c.