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Aveva del caos dentro di sé e per questo generò una stella danzante. Si fece, a furente suon di musica, lui stesso stella danzante! Se decise di cantare, di creare – e all’improvviso – un gruppo rock (eravamo nel 1965: in pieno Vietnam, in piena contestazione a un modello di padre antropologico); se decise di cantare, lui che aspirava a essere solo poeta, non il sex symbol che era diventato, scrivere versi su una terrazza sotto l’effetto delle droghe, era perché non “voleva sfogare nelle lacrime la sua malinconia purpurea”: e come Nietzsche, ordinò così alla sua anima di cantare. Le ordinò “canti futuri”. Tra le letture di Jim Morrison non c’era solo il filosofo più grande, l’autore di Così parlò Zarathustra. C’erano i poeti maledetti che imitava. C’erano in specie William Blake e Aldous Huxley; Rimbaud e Baudelaire. E proprio a un verso di Blake sulle “porte della percezione” e alla curiosità di Huxley sull’alterazione lisergica delle percezioni s’ispira il nome – The Doors (Le Porte) – dato da Morrison al gruppo di cui era il frontman.

Giovane geniale, studente di cinematografia all’Università della California, arrestato e processato per oscenità in luogo pubblico, Jim Morrison divideva la realtà in due parti: una visibile e l’altra, oltre la porta, invisibile, ignota, ultrasensoriale, dionisiaca. Ѐ la seconda realtà quella che ci mostra le cose come sono, come dovrebbero essere. Infinite. Ma noi non possiamo vederla perché i nostri sensi non sono purificati. E allora sono necessarie le parole, le parole della poesia accompagnate dalla musica più ebbra e folle e dalle esibizioni più sfrenate. Ѐ necessario soprattutto un processo iniziatico, di dilatazione dell’Io e di rigenerazione dell’Umano. Perché il mondo ordinario, il mondo del padre (contestato dalla cultura beat di cui il giovane Morrison si nutre: contestazione alla Scuola, all’Autorità, alla Guerra), il mondo della prima realtà, della realtà visibile, quel mondo è finito.

Di cosa ci parla Jim Morrison, questo giovane mito – della sua e di tante altre generazioni – che a soli ventisette anni fu trovato morto nella vasca da bagno di un hotel di Parigi? Ci parla di un poeta che ascolta tutto ciò che non è percepibile dai nostri sensi impuri. Tutto ciò che sta oltre la porta. Se ne fa mediatore con le sue canzoni, la sua musica. Lui che non era mai stato a un concerto prima di mettersi a cantare, scatena in chi lo ascolta le energie più sfrenate.

Morrison cercava la libertà – e nella libertà se stesso. Il suono dei passeri e l’infanzia per sentirsi abbracciato dalla realtà. Le canzoni e l’eternità della poesia per aprire tutte le porte e liberare l’essere umano dal modo limitato in cui vede e sente. Ma il suo fu un processo iniziatico elementare, senza una guida, senza la guida di un ordine poetico graduale, senza la smarrita poesia pensante di cui parlava. Dal caos uscì sì una stella danzante, ma era una stella che invece di dilatare la propria coscienza l’aveva distrutta. Oltre le porte dell’invisibile, oltre le porte della percezione incontri le tue parti inconsce, emozioni, ma anche un universo di mostri. Incontri i tuoi tormentosi fantasmi. Non incontri Dio, non incontri la salvezza e la libertà che cerchi nel processo di rigenerazione, dell’Io e dell’umano che ti circonda. La tua visione celeste, come ben dice Marco Guzzi, non si incarna nella terra. E se queste porti le apri ricorrendo alle droghe è ancora peggio: perché non sai che fare di fronte alle energie che scateni, non sai come controllarle. Un ordine è necessario. Senza l’ordine di una poesia pensante, non esci dal caos che trovi oltre le porte della percezione. E ti autodistruggi, disintegri la tua identità, la tua coscienza. Diventi pazzo. O finisci irrimediabilmente nella droga, nel fallimento.

Negli ultimi anni della sua giovane vita, Morrison soffriva di una depressione molto forte. Si sentiva più vecchio di vent’anni. Morì nella notte tra il 3 e il 4 luglio di cinquant’anni fa,forse per arresto cardiaco da overdose. Un filo di sangue gli usciva dal naso. La stella danzante aveva ucciso i suoi sogni.

Gaetano Cellura