Democristiani di destra e di sinistra: ecco il governo Letta. La Dc ricostituita, rifondata. L’Istituto Aspen, il club Bilderberg, la Commissione Trilatelare (encomiabili fondazioni e associazioni internazionali) al governo in Italia. Da questo punto di vista nulla cambia rispetto al premier uscente Mario Monti, anche lui “socio sostenitore” di queste – lo ripeto – degne fondazioni in cui trovi politici di destra e di sinistra, manager, studiosi ed esponenti del mondo che conta: quello dell’economia e della finanza soprattutto. Da Rockfeller a Elkann, da Giuliano Amato a Romiti e a Tremonti, da Bernabè alla Marcegaglia, da Frattini e Letta senior (lo zio del nuovo premier) a Prodi e a Ornaghi, dall’Enel alla Telecom e alla Fiat. E ci fermiamo qui, senza citare i soci stranieri e il lungo elenco di potentati finanziari internazionali. Entrato giovane in politica, Enrico Letta non è stato certo con le mani in mano. Ha fondato i VeDrò, un’associazione di cui fanno parte, oltre a banchieri, manager e imprenditori, esponenti politici senza barriere ideologiche: da Renzi ad Emiliano, da Alfano a Lupi, dalla Carfagna alla Di Girolamo, dalla Melandri alla Serracchiani. Si riuniscono a Drò, sul lago di Garda, alla fine d’agosto, e dal luogo delle riunioni (che durano tre giorni) prendono il nome di Vedroidi. Tre di questi Vedroidi fanno parte del nuovo esecutivo. Sul quale gran parte della stampa che conta spreca lodi e nutre speranze. L’unico possibile in questo difficile momento, viene detto e scritto. Il governo voluto da Napolitano, ancora una volta salvatore della patria. Con molti volti nuovi e una larga rappresentanza femminile. Qualcuno, magari più avanti, ci spiegherà quali competenze hanno la Di Girolamo e la Lorenzin per guidare rispettivamente dicasteri come l’Agricoltura e soprattutto la Salute, dove la neo ministra è stata preceduta da esperti del calibro di Veronesi, Sirchia e Balduzzi. Detto questo, che già dice tanto, resta qualche modesta considerazione politica da fare. Berlusconi, per il momento, è il vero vincitore dell’interminabile partita iniziata all’indomani delle ultime elezioni. Grillo e Bersani gli sconfitti. Il primo, rifiutando il “governo del cambiamento” propostogli subito dal segretario del Pd, ha vanificato la richiesta di otto milioni di elettori del Cinque Stelle e ha dimostrato a tutti che votare un movimento senza una politica di governo, e senza esperienza politica, è come votare scheda bianca. Tutto da lì parte, da quel rifiuto e dall’umiliazione in streaming di Bersani, quanto è avvenuto dopo: l’altrettanto umiliante e dolorosa (per chi ne è stato vittima, Marini e Prodi, e per il paese) vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica, la rielezione di Napolitano e la nascita del governo Letta delle larghe intese. Il secondo, Bersani, ha visto svanire contemporaneamente premiership e leadership consegnando al paese un Pd che non ha saputo dirigere: diviso su tutto, principale protagonista dello spettacolo indecoroso cui abbiamo assistito. Un partito già da rifondare, e su altre basi. Magari con una forte identità di sinistra. La sua base e i suoi elettori sono profondamente delusi. Per quanto accaduto nei giorni scorsi e per dover assistere ora al ritorno della Dc al governo.
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