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Convincono poco le politiche  del governo gialloverde. E un azzardo sono per i suoi  oppositori le stime di crescita legate a una legge di bilancio bocciata e sanzionata, come sappiamo, dall’Europa. Ma sul “poco” bisogna pur riflettere. Fare qualche utile osservazione di natura storica ed economica ovviamente.

Come paese, ci siamo barcamenati tra Est e Ovest, tra le grandi potenze della guerra fredda. Ricavandone vantaggi ma venendone anche usati in funzione strategica. Questo dice l’ultimo scorcio della nostra storia. Ma procedendovi a ritroso scopriamo un tratto peculiare della nostra identità nazionale. O meglio, della “duplicità del nostro stare in Europa” sin dalla nascita dello Stato unitario. Un bell’articolo di Ernesto Galli della Loggia ce lo spiega esemplarmente. Abbiamo usato la Francia contro l’Austria nella Seconda guerra d’indipendenza. Poi la Prussia contro la Francia per fare di Roma la capitale del Regno. Quindi sia la Triplice Alleanza che la “contemporanea amicizia con l’Inghilterra”.

L’Europa odierna non ci vede in questo senso protagonisti, e cioè in grado come nel passato di ricorrere alla politica della doppia sponda. Di fronte a noi non ci sono più spazi di politica estera. C’è una sola sponda, un solo scenario: “l’arena di Bruxelles” dominata dalla Germania. Uno dei motivi della nostra insofferenza verso un’Unione che ci lascia per di più pochi margini di manovra anche in campo economico e finanziario. Sino al punto da rendere giustificate queste domande: perché votiamo se è l’Europa a dirci sempre e comunque quel che possiamo o non possiamo fare? Perché, dopo aver sperimentato le politiche dell’austerità che hanno impoverito i popoli, non abbiamo il diritto di provarne altre?

E in questo consiste il braccio di ferro del governo italiano e della sua maggioranza, votata per fare scelte diverse rispetto al passato, con la Commissione europea.

È giusta la sfida a un’Europa “alla quale – come diceva Saramago – sono stati necessari secoli e secoli per riuscire a formare dei cittadini e a cui sono stati sufficienti vent’anni per trasformarli in clienti”. E giusto è, al punto in cui siamo, porre un argine al totalitarismo del rigore economico. Che non può essere eterno.

Il governo gialloverde fa bene ad andare avanti in questa sfida. Ma sbaglia quando non prende atto che si può vincerla solo gradualmente. Per intenderci: oggi elimino la legge Fornero e domani metto il reddito di cittadinanza, o viceversa. Ottenere tutto e subito espone troppo l’Italia sul piano finanziario e rischia di far saltare anche quello che di quest’Europa merita d’essere salvato.

Gaetano Cellura