di Gaetano Cellura L’orrore del manicomio, di questo “luogo maledetto dove morivano i dannati” accende d’imprevedibile chiarità la poesia di Alda Merini, oscura in altri momenti. La poetessa milanese vi viene internata per la prima volta nel 1965. E altre volte vi torna, tra dimissioni e ricoveri, fino al 1979. Una vita spezzettata fa da contraltare a un’opera poetica unitaria.
Merini era sbocciata presto alla poesia. Ma è, credo, quando denuncia l’inferno in cui sono reclusi i malati di mente che la sua parola si fa potente, severa e soprattutto più chiara. E già manicomio, questa sola parola è per lei “assai più grande delle oscure voragini del sogno”. L’autrice de La Terra Santa pensava alla morte come a una sua nemica. Perché colpiva la “gente gentile” e non lei, reietta, che dalla propria “amara vita” voleva fuggire. Ci ha parlato dei poeti che lavorano di notte. E che “nel loro silenzio/fanno ben più rumore/di una dorata cupola di stelle”.
Dei malati di mente rinchiusi nel luogo maledetto ha cantato le sofferenze. Poesia esemplare al riguardo è Il mio primo trafugamento. Trafugamento di madre in una notte d’estate. Trafugamento di donna in un angolo oscuro. Presa da un pazzo e adagiata sull’erba. “Oh mai la luna gridò tanto/contro le stelle offese”. Mai visceri di donna hanno gridato tanto “arsi da quell’impura passione”. Poi il bimbo concepito le “fu tolto dal grembo e affidato a mani più sante”.
Questa e tante altre violenze subite dalle donne Alda Merini ha cantato: donne “prevaricate dai bruti”; la deflorazione di Vita Bello su un letto di psichiatria. E naturalmente ha cantato il dolore proprio, che nella poesia trovava conforto: “Io piangerò le mie rime perdute/altre ne troverò dentro il dolore”. Tra le sbarre, nell’inferno è rimasta poeta ma senza mai trovarvi di Euridice la casta ombra.
Tutto questo prima che la Legge Basaglia ci aprisse gli occhi sulla realtà atroce del manicomio, che Merini chiama infinito, decadente e folle. Le urla del malato “attutite da sanguinari cuscini” erano per lei la menzogna feroce della vita. Ha visto e (probabilmente) patito questo tremendo strazio, che una società condannata ai suoi gradi inferiori è stata incapace di leggere.