È con la Risoluzione di Messina che vengono avviate la cooperazione per l’energia atomica e le successive fondamentali tappe di comuni politiche economiche e d’integrazione europea sino al Trattato di Lisbona. Ancora oggi, nei momenti di difficoltà di questo lungo processo integrativo, compreso l’attuale che rischia di mandare all’aria il lavoro di decenni, è lo spirito di Messina a essere invocato. Lo spirito che permise di passare dalla CECA alla CEE, appunto il 25 marzo del 1957, e di allargare man mano l’adesione ad altri paesi: fino ai 12 del 1986, ai 15 del 1995, ai 28 di adesso senza tener conto della Brexit. E senza dimenticare l’adozione nel frattempo della moneta unica.
Più dei populismi continentali e d’oltreoceano, la vittoria delle destre sovraniste come quella – possibile – della Le Pen in Francia, è l’attuale proposta di creare un’Unione a dominazione tedesca e a due velocità (da una parte i paesi membri con i conti in regola, dall’altra l’Italia, la Grecia, il Portogallo) a segnarne il destino di disgregazione politica e monetaria soprattutto. E quanto a noi rischiamo, da paese fondatore, di finire tra quelli di serie B. È lo scenario mercantilista disegnato da Schaeuble.
Già precario era prima l’equilibrio dell’Unione, sotto la forte spinta nazionalista ed euroscettica, figuriamoci ora che fiscal compact e trattati istitutivi stanno per entrare nel diritto europeo. Ora che Mario Draghi ammonisce i paesi membri dell’Unione che vogliono uscirne a pagare prima i debiti alla Bce. Se questa è la risposta ai nazionalismi che agitano il continente, non c’è nessun vecchio spirito di Messina che tenga per l’Unione europea e per la sua moneta senza Stato. Il rimedio cercato è peggiore del male.
Gaetano Cellura