Otto candidati alla regione sono troppi. A Licata ci apprestiamo ad assistere a delle elezioni al consiglio comunale in miniatura. E questo nuoce all’interesse generale della città. Perché comporta una dispersione del voto, a totale beneficio dei candidati forestieri (o di extra cinta daziaria come li chiamava una volta il nostro storico Giuseppe Peritore). Licata corre così il rischio di un ritorno alla sua vecchia tradizione elettorale, interrotta nel 2017 con l’elezione di Carmelo Pullara. Quella cioè di essere di nuovo feudo elettorale dei candidati della provincia.
Con questo non si discute certo il diritto di ognuno a provarci. E di correre democraticamente per un seggio all’Ars. O di sognarlo. O magari di ritagliarsi per un mese uno spazio politico. Si discute semmai della struttura e della concretezza di certe candidature. Soprattutto di quelle decise all’ultimo momento. Abbiamo sempre saputo che le candidature si costruiscono con un lavoro paziente, si annunciano in tempo utile per far conoscere agli elettori storie, programmi e intenzioni. Certamente non si improvvisano. Perché l’improvvisazione, la volontà dell’ultima ora dà poche garanzie di ottenere un successo personale e non è utile alla città.
Non sto qui a valutare il grado di pubblica riconoscibilità o l’appeal e la forza elettorale di ognuno degli otto candidati. Valuto solo il livello di partecipazione alla vita politica della città e al suo discorso pubblico. Che è poi quello che struttura davvero le candidature, ne segna il profilo, le competenze e le potenzialità. Ebbene, questa partecipazione assidua, questa cura e attenzione per i problemi di Licata si è riscontrata soltanto in due o tre degli attuali aspiranti all’Ars. Ci sarebbe da fare altresì un lungo discorso sul perché ci si candida – spesso non per spirito di servizio verso la cosa pubblica ma per ragioni clientelari oppure di partito o anche di corrente. Ma non lo facciamo questo discorso. Perché è inutile e perché coinvolge anche le ragioni di noi che votiamo. Parlo ovviamente delle ragioni storicamente intese come deteriori e che non hanno fatto progredire né la nostra città e tantomeno la nostra regione.
Sul piano strettamente politico la sorpresa maggiore riguarda la candidatura del dottore Agnello con la lista di Azione. Anche questa, come altre, non è stata mai annunciata né preparata. E probabilmente è frutto della crisi profonda che vive a Licata, da troppo tempo, l’area democratica e progressista e soprattutto il suo principale partito di riferimento. Di questo partito, il Pd cioè, il dottore Agnello era fino a ieri il segretario. Cosa ancora più sorprendente. Perché la candidatura con un nuovo partito doveva essere preceduta dall’annuncio delle dimissioni dalla carica ricoperta nel vecchio. Non mi sembra cosa di poco conto. E il fatto che possa, anzi debba, necessariamente annunciarle oggi è già un forte ritardo, fuori ormai – mi dispiace dirlo – d’ogni grammatica politica.
Gaetano Cellura