di Gaetano Cellura Facciamo l’abitudine a tutto. A tutto ciò che non va, s’intende. E così la rassegnazione civile diventa cifra politica. Cifra della politica. Si può rispondere che va allo stesso modo nell’intera provincia, ma non è una consolazione per la nostra città. Sull’emergenza idrica non abbiamo dato, in questi ultimi mesi, prove di grande maturità. Né come classe politica né come cittadinanza. A Enna per una turnazione che non supera i sei giorni si sono costituiti comitati per il diritto all’acqua, la Procura della repubblica ha aperto un fascicolo per accertare eventuali responsabilità. A Caltanissetta si è tenuto un lungo consiglio comunale aperto – presenti parlamentari di governo e d’opposizione. Preoccupano fortemente le condizioni, presenti e future, dell’invaso Ancipa, ormai a secco.
A Licata e ad Agrigento siamo fermi ai consigli comunali aperti (il nostro uno dei primi e ora vecchio di mesi) che nulla hanno prodotto sul piano pratico. Vuota chiacchiera, nient’altro. Oltre all’invito pressante rivolto ai sindaci dall’ingegnere Cocina, capo della cabina regionale di regia per l’emergenza idrica. Invito a cercare nuovi pozzi nei territori. Perché solo dai pozzi, trovati o requisiti, può venire la soluzione alla mancanza d’acqua. E questa è nella sostanza la linea del governo regionale. Che merita una risposta scontata quanto obbligatoria. Risposta che si traduce in almeno quattro domande precise.
Queste: pur a trovarli i pozzi, se poi risultano inutilizzabili non avremmo speso inutilmente denaro pubblico? Quel denaro non sarebbe meglio impiegarlo per rifare le reti? È vero che lungo le reti di Siciliacque, secondo quanto si apprende da articoli di stampa, si perdono cento litri d’acqua al secondo? A cosa è servito creare apparati elefantiaci di gestione privata del sistema idrico?
A essere senz’acqua, e forse proprio per quest’ultimo motivo, in questi giorni sono almeno quattro comuni dell’agrigentino, compreso il capoluogo. Insomma, che la situazione sia grave (per inefficienze strutturali, reti colabrodo, dighe abbandonate o non curate, interruzioni dell’energia elettrica) non lo scopriamo adesso. Adesso scopriamo la sottovalutazione politica di un problema che già da inizio anno andava affrontato e sul quale si è invece intervenuti con notevole ritardo. Ammesso che di veri interventi si possa parlare. E scopriamo anche la nostra rassegnazione come cittadini di Licata. A Enna e Caltanissetta anche le madri protestano per il negato diritto all’acqua; e ci si ribella per turni di distribuzione lungamente inferiori ai nostri.
Alla Marina (rete Porto) si registrano turni persino di dodici/tredici giorni. Idem in altri quartieri della città. Ma nessuno dice niente. Né chi questo problema l’ha già vissuto negli anni Sessanta come problema politico e soprattutto esistenziale. Né i giovani che fino a qualche anno fa lo ritenevano un problema e un fatto politico del passato.
Riflettiamo sui motivi di tanta rassegnazione. Chiediamoci cosa ci sta succedendo, come cittadini licatesi, non solo come classe politica. Di fronte a un diritto essenziale negato, come il diritto all’acqua, non possiamo dormire il sonno della ragione.