Il titolo è una massima dello psicologo Giovanni Soriano che la dice lunga sulla rassegnazione, specie quando a rassegnarsi e darsi per vinto è un intero popolo. Siamo in tanti ad amare Licata, sicuramente la stragrande maggioranza. Il nostro è un sentimento viscerale. Siamo legati a questa nostra bellissima terra da un cordone ombelicale, ci siamo nati e ci soffriamo, almeno quelli che l’amiamo, a vederla andare sempre più indietro, quasi abbandonata al proprio destino, senza che nessuno abbia le capacità di saperla risollevare per tirarla fuori dalla decadenza e dal baratro in cui è precipitata. Come adesso, a memoria d’uomo, Licata non si era mai ridotta. Basta fare un giro per la città, per i corsi principali, per le stradine del centro storico, per la periferia più prossima, per accorgersi di tutto lo schifo, di tutta l’inciviltà, di tutta l’illegalità, di tutto il degrado e di tutto il caos che regna e che si consuma giorno dopo giorno su ogni metro quadro del nostro territorio, senza che nessuno prenda i provvedimenti dovuti. Chi dovrebbe vedere non vede, quasi avesse gli occhi bendati e chi dovrebbe intervenire non interviene, quasi avesse le mani legate. Nel contempo lo stato di assopimento e di rassegnazione raggiunto dal popolo licatese non lascia spazio ad alcuna possibilità di inversione di rotta, quasi stessimo tutti ad aspettare un miracolo di Dio. Diceva Gilles Archambault : “Non ci si rassegna mai, si decide di tacere, è tutto”. Honoré de Balzac invece sosteneva che “la rassegnazione è un suicidio quotidiano”. Sia nell’uno che nell’altro caso non cambia assolutamente nulla, si soccombe quantunque. Nei miei versi, dai quali spero possa uscire un grido di allarme, ho voluto sintetizzare quello che penso e quelle che immagino siano le opinioni e le convinzioni comuni a tantissimi licatesi che hanno gli occhi aperti e che constatano il degrado, il disagio e lo stato di abbandono in cui la nostra città versa.
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