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Le divisioni nella chiesa ortodossa non sono la chiave del conflitto in Ucraina. Ne rappresentano tuttavia una delle componenti essenziali. Ignorarle significa non aver capito nulla del mondo russo. Come leggere altrimenti la risposta data a Zelensky? Al suo riconoscimento, peraltro tardivo, che l’Ucraina non può e non deve entrare nella Nato? Al presidente ucraino i russi hanno risposto che la rinuncia alla Nato, come possibilità ora messa in campo per fermare la guerra, non basta. La religione purtroppo è per Putin instrumentum regni. Il Cremlino e il patriarcato ortodosso di Mosca hanno una identica visione fondamentalista della politica e della religione e detestano i “falsi” valori dell’Occidente, ritenuti relativistici e blasfemi.

Solo così si può spiegare il sostegno del patriarca Kirill, capo della chiesa russa, a Putin. Spiegare ma non giustificare. Perché, per quanto diversa sia dall’Occidente la vasta parte di mondo di cui la Russia incarna – politicamente e religiosamente – i valori, la guerra in corso è una guerra tra cristiani; e il dovere di un patriarca, come pure e da ambo le parti è stato ribadito ieri nel colloquio tra papa Francesco e Kirill, è quello, naturale, di essere pastore di popoli e non di lupi.

Di fronte a una guerra così criminale, nelle intenzioni e nelle azioni, in cui muoiono più civili che soldati e in cui vengono violate con l’uso di bombe a grappolo  convenzioni e diritto internazionale; di fronte a una guerra in cui si spara sul cessate il fuoco e sui corridoi umanitari, su un teatro adibito a rifugio e sugli ospedali, e in cui si condannano le popolazioni assediate alla fame e alla sete; di fronte a una guerra in cui si continua a sparare e a ridurre in macerie città che sarà senz’altro difficile ricostruire ridando la propria casa a chi ha dovuto abbandonarla per salvarsi; di fronte una guerra che non conosce tregua neppure durante le pur deboli trattative di pace; ebbene, di fronte a tutto questo caliginoso scenario di devastazione un capo religioso deve avere altre priorità che il sostegno a modelli di vita alternativi al nichilismo occidentale e a un cristianesimo arcaico su cui è pure fortemente diviso il mondo ortodosso. Con la chiesa ucraina allineata alle posizioni di Bartolomeo di Costantinopoli, contrarie a quelle del patriarcato moscovita che vuole una chiesa ortodossa unica e a guida russa.

Putin fa leva su queste divisioni e usa la religione, e cioè la posizione di Kirill come instrumentum regni contro la globalizzazione mercatistica e l’americanizzazione del mondo. Ma c’è un limite a tutto. E questo limite è stato abbondantemente superato dall’aggressione russa all’Ucraina e dal modo estremamente cruento con cui la guerra, giunta al suo ventunesimo giorno, viene condotta. Ogni altra ragione, ogni altra aspirazione “egemonica” (chiamiamola così) sul mondo ortodosso passa in secondo piano. Prima vengono le ragioni della pace e la fine di uno sterminio tra cristiani. E ancora di più questa priorità vale – deve valere – per una guida che sia autenticamente religiosa.

Gaetano Cellura