– Cosa ha significato per Lei essere amico di Peppino Impastato?
Il mio rapporto con Peppino è cominciato ai tempi dell’esproprio delle terre di Punta Raisi per la costruzione della terza pista. Io avevo un terreno da quelle parti, lì veniva Peppino, coi suoi calzoncini,
-La celebre cantautrice licatese, Rosa Balistreri, cantava: “Terra can un senti,can un voli capiri, can un dici nenti vidennumi muriri’’. Oggi che terra è la Sicilia? E’ una terra che ha accolto l’urlo indignato di Peppino?
Giorno 9 a Cinisi abbiamo fatto la nostra annuale manifestazione, era un corteo, c’erano circa 3.000 persone, giovani che accorrono da ogni parte d’Italia, soprattutto dalla Sicilia. Non è che la Sicilia sia una terra ca non senti. Sciascia disse che ‘’ci vuole un esercito di maestri per sconfiggere la mafia’’. E’ con la cultura infatti che si sconfiggono i mafiosi. I cambiamenti ci sono, lentissimi, ma ci sono. La Sicilia di oggi ovviamente non è quella di un tempo. E’ tuttavia la disponibilità di disporre economicamente del proprio futuro che determina la possibilità di emanciparsi dalla mafia. Trovo ragazzi motivati, intenzionati a combattere la mafia, fino ai 23-24 anni, cioè fino al momento in cui si accostano al mondo del lavoro, mondo in cui la mafia si fa sentire prepotentemente. Purtroppo, pur di lavorare, tanti sono costretti a piegarsi ai ricatti mafiosi. In Sicilia non si sta costruendo l’antimafia, bisogna essere realisti. Tutto questo non deve scoraggiarci, anzi deve farci raddoppiare gli sforzi per creare una Sicilia diversa.
–Com’è Cinisi oggi?
Non è che Cinisi sia cambiata molto. Se passi da Cinisi e chiedi quale sia la casa di Peppino Impastato, ti dicono “Peppinu Impastato, e co è?”. Fanno finta di non sapere. Se gli chiedi della casa di Badalamenti, lo sanno. La casa di Badalamenti è stata affidata all’associazione culturale Peppino Impastato, di cui sono il presidente, anche se dimissionario, e a Casa memoria, cioè al fratello di Peppino, Giovanni. Non sapete con quale soddisfazione mi affaccio dal balcone di casa Badalamenti per dire alla gente che l’aria non è più quella di prima. Quindi sarei ingiusto se dicessi che non è cambiato assolutamente niente.
– Peppino pensava che la bellezza rappresentasse un’arma contro la rassegnazione. Ma cos’era effettivamente la bellezza per Peppino Impastato?
Darò una delusione, come ho già detto, ma il monologo sulla bellezza presente nel film (I cento passi), non c’è mai stato. Questo pensiero, che è opera del regista, Marco Tullio Giordana, non rientra nell’ambito del pensiero marxista. Marxisticamente, infatti, esiste una struttura di fondo, che è l’economia, e varie sovrastrutture (che non significa cosi inutili), che rappresentano le conseguenza della struttura. La prima necessità dell’uomo è mangiare, non è né pregare né parlare di bellezza. La bellezza è qualcosa che viene dopo. La bellezza, in termini marxisti, è quindi una sovrastruttura. Noi ci preoccupiamo della bellezza dopo aver soddisfatto la nostra esigenza primaria. Il discorso sulla bellezza è carino, però prima bisogna pensare alla sostanza, poi alla forma.
– Nella scena conclusiva del film la madre di Peppino, in lacrime, sussurra ‘’non se lo sono dimenticati a Peppino’’. Aveva ragione?
I cento passi ancora che danno il titolo al mio libro sono quelli che segnano la distanza dalla morte di Peppino al processo contro Badalamenti e alla sentenza che si è risolta a nostro favore; rappresentano un cammino, durato 22 anni, di lotte costanti, un cammino durante il quale abbiamo espresso la nostra voglia di avere giustizia. I passi verso la giustizia sono lentissimi, però ci sono, non bisogna assolutamente rassegnarsi.
– Che donna è stata Felicia Bartolotta, la madre di Peppino?
E’ stata una donna eccezionale, diciamo che ha tirato fuori le unghie soprattutto dopo la morte di Peppino. Prima è stata costretta a sopportare un marito assolutamente prepotente e mafioso. Dopo la morte di Peppino ha scoperto se stessa. E’ andata a votare cinque giorni dopo la morte del figlio. Si è costituita parte civile, cosa che nessuna donna in Sicilia aveva mai fatto. Ha rivendicato continuamente il desiderio di giustizia. Anche quando la sua salute era diventata estremamente precaria si è recata in tribunale per testimoniare. A Badalamenti, presente alle udienze soltanto in videoconferenza, urlava ‘’Assassino, tu ammazzasti me figliu, tu fusti’’. Un gesto, quello, di estremo coraggio. Non abbiamo bisogno di cercare grandi donne altrove; ne abbiamo una, Felicia Bartolotta Impastato, che, nella storia della lotta alla mafia, merita un ruolo di primo piano.
– C’è qualcosa che non è riuscito a dire a Peppino e che in realtà avrebbe voluto dirgli?
Non credo. Io e Peppino non avevamo bisogno nemmeno di parlare, riuscivamo a capirci soltanto guardandoci. Peppino è una parte di me stesso, non c’è bisogno di parlare.
Una risposta secca, quasi lapidaria, quest’ultima di Salvo Vitale, che ogni tanto, con lo sguardo cerca Faro Lo Maggio, amico di una vita che ha combattuto al suo fianco durante il processo in cui è stata riconosciuta la matrice mafiosa nell’omicidio di Peppino Impastato. E osservando i volti distesi di questi due uomini, ho finalmente la percezione di cosa sia effettivamente la bellezza: qualcuno che creda in te e qualcosa in cui credere.
Salvo Vitale ha presieduto all’evento ‘’La mafia è una montagna di merda’’, organizzato dal gruppo L’altra Licata con Mantia per ricordare Peppino Impastato, una figura istituzionale che, al di là di qualsiasi colore politico, merita di essere ricordata da chi avverte il peso molesto e ingombrante della mafia.
Clelia Incorvaia