È domenica pomeriggio e Licata, circondata nei suoi viali dai numerosi palazzi in stile barocco, è incredibilmente bella. Ed è bella nonostante le numerose imperfezioni, nonostante i calcinacci sgretolati ai margini delle strade, è bella nonostante la sua aria sia dimessa, informale. Da anni non indossa più il suo vestito buono, quello della festa, eppure chiunque abbia un minimo di buongusto non può ignorare l’enorme carico di fascino che questa città (che a dirla tutta è un paese) sprigiona. La bellezza, diceva qualcuno, è nella mente di chi contempla. Era così per Peppino Impastato, il quale, in verità, non si premurò mai di descrivere la bellezza a parole ma in virtù della quale ha combattuto fino alla morte. Ed è qui, in uno dei corsi più conosciuti di Licata, che incontro un uomo con una reflex al collo, intento a rubare la bellezza di questo paese confinato all’estrema periferia della Sicilia . È Salvo Vitale, amico e compagno di svariate lotte di Peppino, che subito mi dice ‘’ti darò una delusione, ma il monologo sulla bellezza presente nel film I cento passi non c’è mai stato’’. Salvo Vitale ha lo sguardo di cui solo i vinti sono capaci, lo sguardo di chi ha visto tanto, quello di chi, nonostante tutto, guarda avanti. Perché Peppino vive. Vive negli occhi chiari di Salvo Vitale, nelle pagine del suo libro (Cento passi ancora), vive nella sua voce ricca di inflessioni dialettali. E a sentirla, quella voce, mi sembra di essere a Cinisi, ai tempi in cui Peppino contava i passi che separavano la sua casa da quella di Badalamenti, il boss del paese.
– Cosa ha significato per Lei essere amico di Peppino Impastato?
Il mio rapporto con Peppino è cominciato ai tempi dell’esproprio delle terre di Punta Raisi per la costruzione della terza pista. Io avevo un terreno da quelle parti, lì veniva Peppino, coi suoi calzoncini, con queste idee che già erano contestatrici a sinistra del partito comunista. Appartiene già a quella fase la nostra scelta di essere extraparlamentari di sinistra, di essere rivoluzionari, ci definivano così. Il rapporto con Peppino era essenzialmente politico e ha continuato ad essere tale anche per quegli anni in cui non ci siamo più visti per questioni di lavoro. Nel momento in cui abbiamo ricominciato a collaborare, soprattutto alla radio, abbiamo ritrovato parecchia della nostra creatività e della nostra irriverenza verso le persone intoccabili. L’ultima parte dell’esperienza di Radio Aut è stata quella più devastante. Abbiamo ancora le registrazioni di come si usava la satira per ridicolizzare gli atteggiamenti dei politici e le speculazioni dei mafiosi. Per quello che riguarda il passato e il presente ritengo che Peppino sia una persona che con le sue idee è rimasta assolutamente viva. In qualsiasi posto del mondo in cui ci sia voglia di giustizia, di uguaglianza e di comunicare le proprie idee, Peppino vive.
-La celebre cantautrice licatese, Rosa Balistreri, cantava: “Terra can un senti,can un voli capiri, can un dici nenti vidennumi muriri’’. Oggi che terra è la Sicilia? E’ una terra che ha accolto l’urlo indignato di Peppino?
Giorno 9 a Cinisi abbiamo fatto la nostra annuale manifestazione, era un corteo, c’erano circa 3.000 persone, giovani che accorrono da ogni parte d’Italia, soprattutto dalla Sicilia. Non è che la Sicilia sia una terra ca non senti. Sciascia disse che ‘’ci vuole un esercito di maestri per sconfiggere la mafia’’. E’ con la cultura infatti che si sconfiggono i mafiosi. I cambiamenti ci sono, lentissimi, ma ci sono. La Sicilia di oggi ovviamente non è quella di un tempo. E’ tuttavia la disponibilità di disporre economicamente del proprio futuro che determina la possibilità di emanciparsi dalla mafia. Trovo ragazzi motivati, intenzionati a combattere la mafia, fino ai 23-24 anni, cioè fino al momento in cui si accostano al mondo del lavoro, mondo in cui la mafia si fa sentire prepotentemente. Purtroppo, pur di lavorare, tanti sono costretti a piegarsi ai ricatti mafiosi. In Sicilia non si sta costruendo l’antimafia, bisogna essere realisti. Tutto questo non deve scoraggiarci, anzi deve farci raddoppiare gli sforzi per creare una Sicilia diversa.
–Com’è Cinisi oggi?
Non è che Cinisi sia cambiata molto. Se passi da Cinisi e chiedi quale sia la casa di Peppino Impastato, ti dicono “Peppinu Impastato, e co è?”. Fanno finta di non sapere. Se gli chiedi della casa di Badalamenti, lo sanno. La casa di Badalamenti è stata affidata all’associazione culturale Peppino Impastato, di cui sono il presidente, anche se dimissionario, e a Casa memoria, cioè al fratello di Peppino, Giovanni. Non sapete con quale soddisfazione mi affaccio dal balcone di casa Badalamenti per dire alla gente che l’aria non è più quella di prima. Quindi sarei ingiusto se dicessi che non è cambiato assolutamente niente.
– Peppino pensava che la bellezza rappresentasse un’arma contro la rassegnazione. Ma cos’era effettivamente la bellezza per Peppino Impastato?
Darò una delusione, come ho già detto, ma il monologo sulla bellezza presente nel film (I cento passi), non c’è mai stato. Questo pensiero, che è opera del regista, Marco Tullio Giordana, non rientra nell’ambito del pensiero marxista. Marxisticamente, infatti, esiste una struttura di fondo, che è l’economia, e varie sovrastrutture (che non significa cosi inutili), che rappresentano le conseguenza della struttura. La prima necessità dell’uomo è mangiare, non è né pregare né parlare di bellezza. La bellezza è qualcosa che viene dopo. La bellezza, in termini marxisti, è quindi una sovrastruttura. Noi ci preoccupiamo della bellezza dopo aver soddisfatto la nostra esigenza primaria. Il discorso sulla bellezza è carino, però prima bisogna pensare alla sostanza, poi alla forma.
– Nella scena conclusiva del film la madre di Peppino, in lacrime, sussurra ‘’non se lo sono dimenticati a Peppino’’. Aveva ragione?
I cento passi ancora che danno il titolo al mio libro sono quelli che segnano la distanza dalla morte di Peppino al processo contro Badalamenti e alla sentenza che si è risolta a nostro favore; rappresentano un cammino, durato 22 anni, di lotte costanti, un cammino durante il quale abbiamo espresso la nostra voglia di avere giustizia. I passi verso la giustizia sono lentissimi, però ci sono, non bisogna assolutamente rassegnarsi.
– Che donna è stata Felicia Bartolotta, la madre di Peppino?
E’ stata una donna eccezionale, diciamo che ha tirato fuori le unghie soprattutto dopo la morte di Peppino. Prima è stata costretta a sopportare un marito assolutamente prepotente e mafioso. Dopo la morte di Peppino ha scoperto se stessa. E’ andata a votare cinque giorni dopo la morte del figlio. Si è costituita parte civile, cosa che nessuna donna in Sicilia aveva mai fatto. Ha rivendicato continuamente il desiderio di giustizia. Anche quando la sua salute era diventata estremamente precaria si è recata in tribunale per testimoniare. A Badalamenti, presente alle udienze soltanto in videoconferenza, urlava ‘’Assassino, tu ammazzasti me figliu, tu fusti’’. Un gesto, quello, di estremo coraggio. Non abbiamo bisogno di cercare grandi donne altrove; ne abbiamo una, Felicia Bartolotta Impastato, che, nella storia della lotta alla mafia, merita un ruolo di primo piano.
– C’è qualcosa che non è riuscito a dire a Peppino e che in realtà avrebbe voluto dirgli?
Non credo. Io e Peppino non avevamo bisogno nemmeno di parlare, riuscivamo a capirci soltanto guardandoci. Peppino è una parte di me stesso, non c’è bisogno di parlare.
Una risposta secca, quasi lapidaria, quest’ultima di Salvo Vitale, che ogni tanto, con lo sguardo cerca Faro Lo Maggio, amico di una vita che ha combattuto al suo fianco durante il processo in cui è stata riconosciuta la matrice mafiosa nell’omicidio di Peppino Impastato. E osservando i volti distesi di questi due uomini, ho finalmente la percezione di cosa sia effettivamente la bellezza: qualcuno che creda in te e qualcosa in cui credere.
Salvo Vitale ha presieduto all’evento ‘’La mafia è una montagna di merda’’, organizzato dal gruppo L’altra Licata con Mantia per ricordare Peppino Impastato, una figura istituzionale che, al di là di qualsiasi colore politico, merita di essere ricordata da chi avverte il peso molesto e ingombrante della mafia.
Clelia Incorvaia