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Crocetta vince, ma non ha la maggioranza. Dice (a caldo) che la chiederà all’Ars per ogni atto di governo. Un presidente all’americana.  A sinistra le polemiche infuriano. E non arrivano le telefonate di congratulazioni al vincitore. Fava ritiene “spregiudicata” la campagna elettorale condotta dal nuovo governatore della Sicilia. “Ha firmato molte cambiali e adesso dovrà onorarle”, dichiara il leader di Sel. L’agenzia di rating Fitch declassa la nostra regione. E questo c’era da aspettarselo, considerato il deficit di bilancio che, secondo i calcoli della Corte dei Conti, a fine anno raggiungerà i sei miliardi. Deficit su cui pesa maggiormente la spesa sanitaria e quella del personale che incide sul 50 per cento del bilancio nonché quella, insostenibile, relativa alla gestione dei rifiuti. Settori nei quali il nuovo governo dovrà subito incidere con politiche di risanamento e di rigore che andranno a toccare quel sistema consolidato – fatto di clientelismo, società partecipate, interessi di varia natura – su cui si è retto il potere politico nell’isola sino a condurla al default. Quel sistema contro il quale si è pronunciato il forte astensionismo (più di un siciliano su due non è andato a votare) e il voto massiccio al M5S. Che con i suoi 15 deputati è oggi il primo partito in Sicilia. Bersani parla di risultato storico. E in parte lo è: ma solo per la storia politica del nuovo governatore. Perché se poi va a guardare i dati – un Pd in calo rispetto alle precedenti elezioni regionali che non riesce a intercettare il voto di protesta né ad arginare il non voto, che vince grazie a un candidato governatore che non aveva neppure scelto e grazie alle divisioni del centrodestra – qualche riflessione in più Bersani dovrebbe farla. Alla fine in Sicilia, a parte l’inarrestabile tracollo del Pdl, cambia ben poco. E una riproposizione, sia pure con qualche variante, del blocco politico che ha governato la Sicilia negli ultimi anni è più che probabile. Non può pensare Crocetta di governare all’americana, di voler essere (come dice) il Presidente dei siciliani. Intanto perché non lo è, visto che ne rappresenta solo il 30 per cento, e poi perché verificherà quando è difficile nei fatti esserlo. Con certe logiche e certi poteri che rendono irredimibile la Sicilia dovrà scendere a compromessi. Per cui un’alleanza con il partito di Lombardo e con Grande Sud non è da escludere. Sono i numeri a imporla. Questa è la realtà emersa dalle elezioni: una spruzzatina di nuovo – un governatore dell’isola con una storia di sinistra – in un panorama politico non privo di macerie e che impone maggioranze vecchie.

(g.c.)