Era sindaco di Berlino quando il muro divise la città, i suoi abitanti e persino il suo cielo. Era ancora vivo il 9 novembre del 1989 quando il muro venne abbattuto e il vento della libertà cominciò a soffiare nella Repubblica Democratica Tedesca e nell’Est europeo.
Da cancelliere della Germania Ovest, Willy Brandt con il mondo comunista aveva tenuto sempre aperto il dialogo politico. Con quella ostpolitik che non gli risparmiò diffidenze e defezioni nel suo stesso partito (la socialdemocrazia tedesca) e la dura opposizione dei partiti conservatori.
Non bastò al compagno Willy Brandt la visita a Berlino di John Kennedy (nel 1963) ad alleviargli il dolore che gli procurava la città divisa. Il presidente americano si proclamò in quell’occasione cittadino berlinese. Manifestò così la propria solidarietà all’ex capitale tedesca tagliata in due dalla storia. La guerra fredda ebbe anche quest’effetto: di separare vite umane, famiglie, amicizie, amori e affetti. E chi dall’est provava a scavalcarlo quel muro, poi chiamato della vergogna, correva il rischio di essere sparato a vista.
“Vengano a Berlino – disse Kennedy quel giorno – quelli che dicono di non comprendere quale sia il gran problema che divide il mondo libero dal mondo comunista”. Vengano a Berlino – aggiunse – quelli che dicono che il comunismo rappresenta il futuro e che consente di realizzare il progresso economico. Vengano a Berlino: e si renderanno conto del loro errore. Il presidente americano lodò lo spirito combattivo di Willy Brandt, sindaco di Berlino ovest ed esempio per tutto il mondo libero.
La carriera politica del socialdemocratico Brandt era iniziata nel dopoguerra. Ma già prima non gli erano mancati i guai con il regime nazista, che nel 1938 lo espulse e lo privò della cittadinanza tedesca. Il massimo riconoscimento lo ottenne nel 1971, quando gli venne conferito il Premio Nobel per la pace. Riconoscimento alla sua ostpolitik che molto è servita a stemperare le tensioni della guerra fredda. Ma il ricordo più vivo che del compagno Willy Brandt ci resta, scolpito nella memoria di chi ha memoria, è la sua visita a Varsavia il 7 dicembre del 1970. Si inginocchiò davanti al monumento che ricorda la distruzione del ghetto e chiese simbolicamente perdono. Lui, il compagno, il cancelliere socialdemocratico; lui, estraneo alle atrocità del nazismo e dal regime nazista espulso dalla Germania; lui che aveva fatto parte della gioventù socialista si inginocchiò e chiese perdono. A nome di tutto un popolo. Anche di quella parte del popolo tedesco che il nazismo l’aveva subito e combattuto. Altre cose furono chiare in quel momento. Ma una su tutte. E cioè che l’Europa libera aveva un debito da pagare a quell’altra parte, oppressa dal comunismo, disegnata dalla geografia innaturale della guerra fredda. Quando il Muro cadde e Berlino tornò ad essere una sola città, una città interamente libera, quella che era l’intima visione di Willy Brandt – la riunificazione della Germania – venne realizzata da un altro grande statista: il leader della Cdu Helmut Kohl.
Il compagno Willy Brandt da quindici ormai non era più cancelliere, ma continuava a fare politica come presidente dell’Internazionale socialista. Le avvisaglie c’erano. Qualcosa si muoveva a Berlino Est e nella Germania orientale. Ma la caduta del Muro (trent’anni fa) fu così improvvisa che, fino a poche ore prima, nessuno se l’aspettava. E colse di sorpresa pure lui.
Gaetano Cellura