di Gaetano Cellura  Hemingway gli riconosceva uno straordinario talento. S’incontrarono durante la guerra, dopo lo sbarco in Normandia, che l’autore di Addio alle armi seguiva come reporter, e Salinger gli fece leggere alcuni suoi racconti. Salinger la guerra la portò fino in fondo e fu uno dei primi soldati americani ad entrare in un campo di concentramento liberato. Dirà poi alla figlia: “È impossibile non sentire più l’odore dei corpi bruciati, non importa quanto a lungo tu viva”. Cioè: lo porterai con te, sempre, l’odore di quei forni maledetti, se l’hai sentito. Se l’hai sentito, non te ne libererai per tutta la vita.

Lui, che un po’ di sangue ebreo ce l’aveva nelle vene, l’odore deve averlo avvertito ancora più forte – e fino alla nausea, allo svenimento. I ricordi della Seconda guerra mondiale, di quanto ha visto, lo tormentano anche durante il suo lungo e volontario isolamento dal mondo, e forse fino alla fine dei suoi giorni: il 27 gennaio del 2010, proprio in quella che cinque anni prima era diventata ufficialmente la Giornata della Memoria.

Nel 1951 uscì Il giovane Holden, che lo rese famoso. Un romanzo antiborghese scritto da un autore cui non piacevano tante cose. I tassì e gli autobus di Madison Avenue. Non gli piaceva New York, anzi l’odiava. Perché è una città dove è il denaro che parla –“senza scherzi”. Non gli piaceva l’ipocrisia: dover dire piacere d’averla conosciuta a persone per le quali non provava proprio questo piacere. “Ma se volete sopravvivere – quasi ci avverte – bisogna che diciate queste cose”. Se volete sopravvivere in un mondo di ipocriti. A Salinger non piaceva rilasciare interviste. Di una delle pochissime che concesse salviamo queste parole: “Amo scrivere. Ma solo per me stesso e il mio piacere. Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità”. E infatti scrisse molto, senza pubblicare, dopo il successo avuto da Il giovane Holden. Scrisse molto nel rifugio in cui andò a vivere dopo la pubblicazione del romanzo. Per molti anni di Salinger non si videro in giro neppure le foto. Nessuno sapeva il suo numero di telefono. Non si sapeva neppure se l’avesse un telefono. A me Il giovane Holden non ha fatto una grande impressione. Mi ha interessato di più il mito intorno al suo autore. Quel suo scappare dal successo e dalla vita pubblica e andare a vivere, con buddistico distacco da ogni cosa, sulle colline del New Hampshire. Ma quella domanda sulle anatre, così improvvisa e assurda, così disarmante, quella domanda senza risposta di Holden Caulfield, protagonista autobiografico del romanzo-icona di Salinger, chi la può mai dimenticare? Quella domanda al tassista: “Mi saprebbe dire dove vanno le anatre quando il lago gela”? Ah, saperlo! Il tassista si volta e lo guarda come si guardano i matti: “Mi prendi per fesso?”– gli dice.

Ah, saperlo! E ancora non sappiamo se è la domanda di un matto o di un filosofo consapevole. Ma dieci anni dopo al tassista la risposta avrebbe potuto suggerirla Bob Dylan: “La risposta, amico, soffia nel vento”. Probabilmente il posto dove vanno le anatre quando il lago gela è il posto sconosciuto, di solitudine e silenzio, che Salinger cercava spasmodicamente. Per proteggersi da un futuro che vedeva pieno di angosce. Il giovane Holden è ancora molto letto (non solo in America, credo). Per il suo stile antiletterario, ironico e dissacrante. Non è un cult per me, e l’ho già detto. Ma chi cerca una perfetta descrizione dell’angoscia adolescenziale è a questo libro che soprattutto deve ricorrere.